Michela ZanarellaDopo 28 lunghi anni di attesa, anche l'Italia ha varato una normativa di regolamentazione delle Unioni civili, che comprende una nuova serie di diritti anche per i cittadini omosessuali. Si tratta di un piccolo e sofferto passo in avanti, che finalmente allinea anche l'Italia con le società più avanzate del mondo europeo e occidentale. La sensazione è che il nostro Paese stia cercando di 'scrollarsi di dosso' vecchi modi, statici e cronicamente 'chiusi', di concepire i rapporti sociali e persino individuali, al fine di abbandonare molte ipocrisie e provare a rigenerare un nuovo codice di valori, basato su princìpi innovativi e maggiormente inclusivi di civiltà. Tuttavia, sappiamo bene come, nel nostro Paese, ogni 'svolta', piccola o grande che sia, rischia spesso di provocare ingerenze e 'controspinte', le quali dovranno essere gestite con estrema maturità democratica, al fine di superare quel 'gap' culturale che molto ambienti sedicenti 'moderati' del nostro Paese hanno dimostrato di non riuscire a colmare. Una questione 'tremendamente' politica, culturale e identitaria, che tende a non voler vedere, né registrare, i cambiamenti in atto nella nostra antropologia della vita quotidiana. Ne abbiamo parlato con Bobo Craxi, di 'Area socialista', una forza politica che sta generosamente ponendosi al centro del quadro politico italiano, nel tentativo di aprire la strada a un nuovo modello di convivenza civile, più 'aperto' ed equilibrato, abbandonando definitivamente ogni forma di 'doppiezza' morale alla ricerca di una più autentica identità laica, democratica e repubblicana per il nostro Paese.

Onorevole Craxi, qual è il suo parere sulla legge Cirinnà approvata in questi giorni alla Camera?
"Si tratta di una svolta innanzitutto culturale, per l'Italia: si è giunti con ritardo a una legislazione coerente a quelle di altre nazioni intorno a una questione la cui realtà aveva di gran lunga superato la distratta e colpevole disattenzione politica. La legge, va detto, è frutto di un compromesso: è 'timida' e lacunosa, diciamo pure fortemente arretrata. Vedo che i vescovi si lamentano pure di questa, forse pensando di vivere in una teocrazia e non in una moderna e progredita società laica. Lo scontro, credo sia soltanto rimandato, non saprei dire con quali esiti".

Matteo Salvini ha chiesto ai sindaci leghisti di non applicare la norma: un'istigazione all'abuso d'ufficio o mera politica da bar?
"Queste sono le sciocchezze di chi pensa di guadagnare consenso praticando la disobbedienza civile, come se tasse e matrimoni omosessuali fossero la stessa cosa. La Lega ha avuto, nei confronti del Vaticano, posizioni spesso 'ondivaghe': è un movimento di protesta e non sembra aver modificato la propria tendenza, priva di ogni legame con il necessario equilibrio democratico richiesto a chi governa società complesse".

E' prevista per l'estate una nuova legge sulla prescrizione: come vede il confronto attualmente in corso tra giudici e politica?
"I rapporti li trovo altalenanti: da un lato la politica appare, da tempo e a parole, più sensibile alla richiesta di trasparenza e molto devota alla stagione delle 'Mani Pulite' e della cosiddetta 'moralizzazione'; dall'altro, i magistrati lamentano una scarsità di mezzi per contrastare l'aumento dei reati contro la pubblica amministrazione e una legislazione non adeguata. Penso che, alla base, non si sia risolto il problema della politicizzazione della magistratura e, quindi, gli scontri proseguono a prescindere dai Partiti che governano. Si susseguono le inchieste: in certi casi, queste appaiono piuttosto 'mirate', o almeno si ha tale impressione. Leggo di Lodi e il mio pensiero corre alla memoria di Renato Amorese, segretario lodigiano del nostro Partito, che si tolse la vita a 49 anni non avendo retto ad accuse infamanti. Era il 1992: non vorrei che si tornasse indietro e che accada ad altri ciò che è accaduto a noi".

Cosa pensa delle recenti prese di posizione del nuovo presidente dell'Anm, Piercamillo Davigo?
"Il suo pensiero è schietto e chiaro da tempo: egli assegna alla magistratura un potere 'salvifico', quasi messianico. Ma non ci sono più le opinioni pubbliche di un tempo a osannare i messaggi semplificatori e, quindi, anche certe invettive si perdono nella quotidianità della polemica pubblica. Davigo appartiene a una corrente politica e di pensiero, all'interno della sua corporazione, ben riconoscibile. Credo che non tenga conto, in particolare, la classe politica, quella di oggi come quella di ieri: ecco perché la teoria del 'calzino' è sempre di attualità, secondo lui".

Ma cosa servirebbe per combattere la corruzione e rendere la giustizia più efficiente, in Italia?
"L'aumento dell'etica pubblica e della responsabilità prefigura un aumento di controlli e di trasparenza, nonché una robusta campagna di promozione a favore di un'educazione civica che cominci sin dalle scuole. L'Italia soffre di un male endemico, che tuttavia è proprio di molte società, anche sviluppate. 'Paesi-modello', da questo punto di vista, non ce ne sono: è l'idea di un malaffare diffuso e percepito, che 'segna' il nostro Paese e lo rende un malato inguaribile. A quanto pare, la stagione della 'rivoluzione giudiziaria' è servita a poco. Anzi, se ne ravvisano tutti i caratteri dell'inconsistenza e della propaganda retorica".

Un registro delle 'lobbies', che regolamenti le attività di rappresentanza dei gruppi d'interesse, può servire a garantire maggior trasparenza?
"Si fa riferimento a questa necessità pensando che i conflitti di interesse, nella pubblica amministrazione e nella politica, siano aumentati vertiginosamente. Ma questo è anche il frutto della scomparsa di un ceto politico 'professionale', che garantiva una certa neutralità delle decisioni. Se la classificazione dei portatori di interesse aumenta la percezione della trasparenza, io non sono affatto contrario, ma non è detto che scompaia la pressione o la tentazione della prevaricazione nelle decisioni se chi le pratica viene 'classificato' o reso reperibile: gli interessi privati che dipendono dalla mano pubblica continueranno a essere molteplici".

E' continuo il flusso dei migranti in Italia e verso l'Europa: cosa pensa dell'Austria pronta ad alzare una barriera metallica alla frontiera del Brennero, con la disposizione di 250 agenti sul confine con il nostro Paese?
"Penso che l'Austria e i suoi governanti pagheranno a lungo quella che io considero una 'macchia' sulla loro reputazione. Non si tratta soltanto di aver sospeso, per ragioni di emergenza, una misura comunitaria (lo hanno fatto recentemente anche i francesi, che hanno decretato lo stato di emergenza in seguito agli avvenimenti di novembre), quanto di aver enfatizzato con toni allarmistici un flusso di passaggio di emigranti in una fase di particolare instabilità dell'area euro-mediterranea. Detto questo, è evidente che la programmazione e una nuova cultura dell'accoglienza e dell'emergenza siano destinate a diventare l'agenda quotidiana di tutto il continente europeo. E diventerà sempre più improbabile pensare di sottrarsi a doveri e responsabilità comuni. Penso che, alla fine, il male di questi mesi verrà trasformato in un bene".

L'Italia si ritroverà costretta a intervenire, in qualche modo, in Libia per difendere i pozzi petroliferi dagli attacchi del Daesh? E come?
"Io sostengo da tempo che l'Italia avrebbe dovuto adottare una strategia più assertiva, nella vicenda Libica. Non sempre la teoria della soluzione politico-diplomatica si concilia con la realtà dei fatti sul territorio: non si invade uno Stato sovrano per difendere un pozzo di petrolio, ma si può e si deve contribuire alla stabilità e alla ricostruzione di quelle fondamenta statuali, collassate dopo la caduta di Gheddafi e quattro anni di 'stallo' caratterizzati da guerre sanguinose. L'italia deve decidere quale ruolo giocare, quale soluzione spingere. I francesi e, penso, anche gli inglesi, ma soprattutto gli egiziani, stanno optando per una prospettiva di separazione e stanno incoraggiando, finanziandolo, Haftar nella sua escalation, che prevede l'annientamento del Daesh da Sirte e il disconoscimento del Governo imposto dall'autorità internazionale. Il segnale di ostilità nei confronti degli italiani avvenuto a Bengasi non rappresenta un buon segno e dovremo tener conto, in futuro, della delicatezza che ricopre il ruolo del nostro Paese, nonostante ci separino diversi lustri dall'esperienza coloniale. In ogni caso, sarà difficile, questa volta, fare a meno dell'Italia anche nella costruzione di un nuovo equilibrio geo-politico del Mediterraneo".

Questione socialista: si sta avvicinando il momento per un grande ritorno di quei numerosi elettori, che per due decenni hanno votato per Silvio Berlusconi, in un rinnovato e autonomo Partito socialista?
"Per raccogliere consensi, vecchi o nuovi, bisogna innanzitutto avere in campo un soggetto che si ponga la questione come obiettivo principale. Non mi è sembrato questo il cuore dell'iniziativa di Riccardo Nencini in questi otto anni: ondeggiando fra un'alleanza con Vendola e un patto federativo con Guerini si son persi per strada dirigenti, militanti e voti. La questione socialista, tuttavia, può continuare a esistere se verrà data al nostro elettorato una possibilità di votare socialista. Sappiamo che la dispersione ha generato fughe in ogni direzione. E credo, tuttavia, che potranno convergere elettori che, in questi anni, hanno votato per gli uni e per gli altri. Bisognerà dare un senso di appartenenza ed un senso di marcia adatto ai nostri tempi, rispettando il più possibile sensibilità diverse, ma soprattutto la tradizione comune. Il socialismo italiano è stato tante cose assieme: esso è in crisi più o meno come lo è quello internazionale. Conservando lo spirito libero, laico e progressista, l'esperienza di Governo e i valori primordiali di giustizia sociale e solidarietà verso i più deboli, sia in Italia, sia sul piano internazionale, penso che si rispetti il compito di rappresentare al meglio la nostra tradizione. E' chiaro, inoltre, che nelle prossime settimane il mondo socialista dovrà esprimere, forte e chiaro, cosa pensa di queste riforme costituzionali, ovvero della forma neo-dispotica che Matteo Renzi vorrebbe propinare al nostro Paese. Nencini ha già predisposto un sostegno acritico al 'Sì': penso che la maggioranza dei socialisti stia già da un'altra parte e si stia preparando a garantire un sostegno, motivato e robusto, a un 'No' che sarà tutt'altro che conservatore, bensì democratico. E sarà prevalente"

In passato, il tradimento del riformismo socialista ha sempre generato distorsioni ideologiche come il comunismo, o 'disavventure' come l'autoritarismo 'mussoliniano' e il plebiscitarismo 'berlusconiano': è questa la grande 'lezione' della Storia che non si riesce a trasmettere?
"Il riformismo non è mai stato maggioritario nel nostro Paese. Le ragioni sono profonde e risiedono certamente nella nostra Storia di divisioni territoriali e di occupazione straniera, nonché dalla presenza incombente della Chiesa. Il modello autoritario, in qualche modo si va imponendo anche nei tempi moderni, a causa del vincolo esterno imposto da un'Europa a 'trazione finanziaria' che richiede, appunto, una guida governativa senza eccessivi contrappesi democratici. La nuova Costituzione, collegata alla nuova legge elettorale, appare disegnata esattamente su questo presupposto: alla crisi di sistema non si è risposto riprogettando un modello compatibile di democrazia governante, ma si preferisce riprodurre un modello fortemente accentrato sull'esecutivo. Non credo sia il caso di tirare in ballo i regimi del tempo che fu, ma le distorsioni possono generare anche rischi di concezioni autoritarie della democrazia, dalle quali pensavamo di essere scampati. Il riformismo tornerà a essere fortemente minoritario, se non si riesce a impedire questa deriva".

Come spiega l'attuale impopolarità della politica tra i cittadini?
"Il combinato disposto della crisi economica e della crisi della democrazia rappresentativa ha reso indigeribile, per gli italiani, la politica in quanto tale, anche se di politica se ne parla 'da mane a sera', per i motivi più disparati. La fine delle ideologie ha reso più mobile e disincantata l'opinione pubblica. I mezzi di comunicazione e la rete hanno cercato di colmare un distacco, ma hanno anche annullato quella 'sacralità' che, in qualche modo, aiutava i cittadini a rispettare la politica, considerata in tutta la sua autorevolezza. Intendiamoci, non è un problema soltanto italiano: forme di qualunquismo e di populismo dilagano anche in Paesi con una lunga tradizione democratica. Quando si predica lo Stato 'minimo', anche chi lo rappresenta finisce per ridurre la propria capacità d'influenza. E per poter esercitare un qualche ruolo nella società, ognuno è costretto ad agitarsi per far sapere che esiste. I Partiti fanno fatica a riguadagnare lo spazio che è proprio dei corpi intermedi e le divisioni e le liti sono all'ordine del giorno".

Quali le cause del crollo di 'valori' e di principi nella società italiana, secondo lei? E quale potrebbe essere la ricetta giusta per uscirne?
"La selezione della classe dirigente è sempre di più condizionata dal peso dei media e dall'influenza dei gruppi di pressione esterni. I vincoli ideali e le solidarietà sembrano affievolirsi, mentre incalza l'abitudine di cittadini che si organizzano per auto-tutela con forme di protesta/proposta inedite. Basti pensare all'esperienza di 'Occupy Wall Street', dei giovani francesi delle 'notti in piedi', delle clamorose proteste sindacali con le notti all'addiaccio sui tetti, nonché alle sempre più ripetute manifestazioni di ostilità nei confronti di membri del Governo. Sono segni di una società in crisi, liquida finché si vuole, ma che dovrà, prima o poi, ritrovare un modo di rappresentarsi meglio ordinato. C'è una grande partecipazione civica su molti temi e problemi posti alle nostre moderne società. E c'è anche un tasso di disaffezione dal voto diretto che ricalca comportamenti che sono propri delle società opulenti, o di quelle sottosviluppate. Bisognerà, come sempre, trovare la giusta 'via di mezzo', per riuscire a riprendere la strada di una democrazia fondata sul consenso e sul rispetto del ruolo e delle responsabilità di chi rappresenta le istituzioni. Le campagne sulla 'rottamazione' lanciate dal 'Palazzo' sono state inutilmente diseducative e demagogiche: bisogna rovesciarne per intero i fondamentali".


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Francesco Cosseddu - Nuoro - Mail - martedi 17 maggio 2016 9.17
Tutto bene nell'analisi. Ma carente nel proporre un'iniziativa concreta di rifondazione di Partito che attinga anche ai nuovi spazi nella vasta area di scongelamento di FI e del PD. Non bisogna essere piu' prudenti nel considerare gli attuali dirigenti del PSI fuori da questo progetto.
Roberto - Roma - Mail - martedi 17 maggio 2016 4.33
Sono d'accordo: il servizio è ben curato, completo ed esaustivo. Rimango convinto che il PSI fosse un partito che oggi manca molto all'Italia, anche se a un certo punto della sua storia avrebbe potuto anticipare una evoluzione del sistema politico italiano, che grazie al PSI avrebbe potuto essere più equilibrata.
Erica John - Milwaukee, WI, USA - Mail - lunedi 16 maggio 2016 22.32
Bravissima Michela!

La tua intervista con Bobo Craxi e i tuoi chiari commenti danno luce a questo nuovo dibattito sull'unioni civili. Sei brava e ben precisa.

Grazie




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