Giorgio MorinoGli attentati di Bruxelles hanno sconvolto ancora una volta la quotidianità degli europei. L'attacco portato al cuore stesso dell'architettura comunitaria ci chiama a una profonda riflessione sulle risposte da dare a una minaccia che stringe il suo cerchio sempre più intorno al nostro 'modus vivendi'. Abbiamo raggiunto l'onorevole Caterina Chinnici, figlia del rimpianto magistrato Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983, anch'essa magistrato nonché responsabile del dipartimento per la Giustizia minorile del ministero della Giustizia fino al 2014. Oggi, Caterina Chinnici è deputata al parlamento europeo iscritta al gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e democratici. Abbiamo voluto incontrarla per chiarire quali possano essere le prossime mosse politiche che l'Ue intende mettere in campo per riuscire a contrastare, nelle sue fondamenta sociali e ideologiche, il terrorismo fondamentalista islamico.

Onorevole Chinnici, può raccontarci innanzitutto come ha vissuto le drammatiche ore degli attentati di Bruxelles?
"Sono state lunghe ore di angoscia e sgomento. Al momento delle esplosioni, mi trovavo col mio staff nel palazzo del parlamento europeo, dove è stato immediatamente innalzato il livello di allerta. Ci hanno comunicato che saremmo dovuti restare all'interno degli uffici e che non era consentito in alcun modo di uscire dall'edificio. Sono stati anche annullati gli impegni previsti. Il mio primo pensiero è andato alle tante vittime innocenti e ai loro familiari, precipitati improvvisamente nel dolore: so bene cosa significhi vedere uscire da casa una persona cara come tutti i giorni e scoprire, all'improvviso, che non potrà mai più tornare".

In base alla sua esperienza e alla sua conoscenza delle dinamiche interne all'Unione europea, che tipo di reazione dovremo aspettarci dall'Europa?
"Il terrorismo, questo terrorismo, è una questione sovranazionale, da affrontare come tale. Se gli attentati di Parigi ci hanno spalancato gli occhi su quanto alta possa essere la nostra vulnerabilità, specie quando la minaccia è portata da ragazzi con passaporto europeo, nati e cresciuti nelle nostre città, i fatti di Bruxelles ci confermano che siamo di fronte a un attacco non isolato, ma seriale, alla nostra quotidianità. Non c'è più tempo per gli indugi: la risposta dell'Europa deve essere immediata e, soprattutto, corale. Bisogna abbandonare i particolarismi e mettere insieme le forze per varare al più presto le necessarie misure, ormai non più rinviabili. Sono certa che il 4 aprile, alla ripresa del calendario parlamentare, i lavori ripartiranno proprio da questo punto".

Nonostante le ingenti misure di sicurezza messe in piedi nella capitale del Belgio è stato comunque possibile realizzare un'altra strage: dobbiamo pensare che non esistono soluzioni efficaci per arginare questi assassini?
"Per la fisionomia che ha assunto, cioè quella di una minaccia portata dall'interno della nostra società, il terrorismo è oggi più difficile da contrastare. Tuttavia, si può fare tanto. Innanzitutto, bisogna costruire una legislazione europea adeguata alle situazioni che la nuova realtà ci impone di fronteggiare. Stiamo già lavorando all'aggiornamento della direttiva antiterrorismo, che introdurrà nuove figure di reato mirate a colpire il finanziamento al terrorismo, il reclutamento, anche quello tramite web, i viaggi per l'addestramento nelle varie milizie. Poi bisognerà valorizzare al massimo gli strumenti di cooperazione e coordinamento di cui l'ordinamento comunitario dispone già, per esempio 'Europol' ed 'Eurojust'. Inoltre, è indispensabile un'integrazione dei servizi di 'intelligence' per realizzare un costante scambio di informazioni tra gli Stati membri. Andranno anche rafforzati i controlli per la sicurezza, sempre da bilanciare col rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, che rappresentano il prezioso patrimonio della nostra civiltà e sono il vero e primo bersaglio del terrorismo fondamentalista. Non dobbiamo nemmeno tralasciare una lettura sociale dei fenomeni di radicalizzazione: i recenti attentati sono stati compiuti da giovani con cittadinanza europea, cresciuti nelle nostre città. E alcuni di loro erano precedentemente noti alle forze di polizia solo per fatti di delinquenza comune. Questo deve, a mio avviso, farci riflettere sul deficit di integrazione delle comunità straniere nelle nostre città: i contesti sociali marginalizzati possono rendere i giovani più fragili e, conseguentemente, più esposti al richiamo dell'indottrinamento fondamentalista e della criminalità in genere. Per giocare d'anticipo sui possibili fenomeni di devianza, occorrono politiche per l'istruzione e la cultura".

Per concludere, già in occasione degli attentati di Parigi si è generata una vera e propria 'caccia allo straniero', specialmente da parte delle forze della destra radicale: lei ritiene che la strage di Bruxelles possa favorire una simile tendenza anche in seno all'Unione?
"Spero proprio di no, anche se, purtroppo, questo rischio c'è sempre. Non va dimenticato che i protagonisti di queste azioni terroristiche sono una ridottissima minoranza, certamente non rappresentativa del comportamento delle comunità di origine extraeuropea presenti sul territorio dell'Ue. La caccia allo straniero in quanto tale non ha ragion d'essere, se non in chiave 'strumentale' per qualcuno. A parte il fatto che, come detto, a compiere gli attentati tecnicamente non sono stati degli stranieri ma dei cittadini europei, così come già molti sono i casi di giovani di sangue europeo radicalizzati e dediti alla causa fondamentalista, in realtà qui si tratta di perseguire il delinquente, europeo o straniero che sia, e di combattere l'organizzazione criminale".


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio