Giuseppe LorinLaici.it incontra un cantautore di Ammuda (Siria) che ricorda la questione curda e ci prega di non dimenticare

È di questi giorni la richiesta d'aiuto del popolo siriano: bambini che mangiano le foglie dagli alberi, altri che si cibano di cani e gatti. Gli oltre 40 mila civili, intrappolati da mesi a Madaya, località a ovest di Damasco circondata dalle milizie sciite di Hezbollah, continuano a patire la fame e il freddo, mentre l'Onu annuncia di aver ottenuto dal Governo siriano l'assicurazione che un convoglio umanitario potrà raggiungere l'area, sottoposta a un assedio medievale da parte di un regime sostenuto da Russia e Iran. Secondo fonti mediche locali, si continua a morire di stenti in una città situata sulle montagne che separano il Libano dalla Siria. "Almeno 42mila persone rimangono a Madaya e sono a rischio di inedia", ha affermato Yaqoub al Hillo, Alto rappresentante dell'Onu presso il Governo siriano. Hillo ha ricordato che i 40 mila di Madaya "sono solo un decimo dei 400 mila da tempo intrappolati in località sotto assedio in diverse zone della Siria". La maggior parte delle aree sono circondate da truppe governative, milizie locali o straniere alleate con Damasco. In altri casi, come a Dayr az Zor, nell'est del Paese, il Daesh assedia i sobborghi controllati dalle truppe del regime. Da qui, la decisione di Hezbollah e Damasco di affamare letteralmente Madaya, per premere sulle opposizioni. Madaya è da giorni sotto una coltre di neve. In città manca il combustibile per riscaldare le case. Mancano anche latte, riso, farina. Ad approfittarne sono i contrabbandieri che, al mercato nero, vendono i beni di prima necessità a prezzi esorbitanti: un chilo di farina costa 90 euro; un litro di latte 25; un chilo di riso 80. Come già successo nei sobborghi di Damasco assediati dal regime, nel campo palestinese di Yarmuk, o nella città vecchia di Homs, per oltre due anni circondati dai governativi, a Madaya si registrano casi di famiglie costrette a mangiare foglie degli alberi, o a cibarsi dei pochi gatti rimasti in città. Tutto quest'orrore sta avvenendo anche nel Kurdewari, il Paese dei Curdi, che confina con la Turchia, l'Iran, l'Iraq, la Siria e l'Armenia. Oggi, solo il Kurdistan iracheno sembra avere autonomia politica in quanto regione federale dell'Iraq. Alcune stime contano 40 milioni di Curdi residenti in Kurdistan, di cui circa 20 milioni in Turchia. In tali zone, i Curdi sono la maggioranza della popolazione, ma convivono con gli Arabi, gli Armeni, gli Assiri, gli Azeri, gli Ebrei, gli Osseti, i Persiani, i Turchi e i Turcomanni. Per Laici.it abbiamo incontrato Rewed Ahmed, un cantautore che risiede qui in Italia. Nato ad Ammuda, in Siria, il 5 giugno del 1970, qui in Italia ha approfondito la conoscenza musicale, pubblicando il suo primo compact disc nel 2010. Questo è stato possibile grazie anche alla competenza musicale di suo fratello, che vive a Vienna, in qualità di rifugiato politico. Alcune sue canzoni si possono ascoltare grazie a YouTube, dove alcuni videoclip evidenziano i posti della sua infanzia, pregni di nostalgia romantica tipica dell'oriente a noi prossimo. Ricordiamo, in particolare, Cimà ed Evina Welat. È anche da queste note che si riscontra la necessità urgente di un territorio e di una Patria, nel rispetto assoluto della loro dignità culturale, che risale a migliaia di anni prima di Cristo.

Rewend Ahmed, quali sensazioni ancestrali evoca la vostra musica?
"La nostra musica esprime il nostro vissuto. In essa è possibile trovare la nostalgia per la nostra terra, l'amore incondizionato per la nostra cultura, la ricerca appassionata di affetti mai vissuti e di amori mai sperimentati".

Ci parli della Storia della tua terra?
"La Storia ci dice che i Curdi, il mio popolo, sarebbero discendenti degli antichi Medi, una popolazione, di origine indo-ariana e di religione zoroastriana, che dall'Asia centrale si diresse verso i monti dell'Iran intorno al 614 a. C. Nel VII secolo d. C. si convertirono all'Islam, la religione 'vera', non a quella demoniaca che professa l'Is. Differenze sociali, geografiche ed economiche hanno impedito, nel tempo, l'unità del mio popolo. Questa insanabile divisione della società curda ha giocato a favore degli Stati più potenti di quell'area, interessati a utilizzare le tribù curde in una funzione di 'cuscinetto' verso altri Stati e a sfruttare le risorse di cui è ricco il Kurdistan. Ci sono giacimenti di petrolio, di ferro, argento, uranio, e in particolare cromo. Fino al XIX secolo, i feudi curdi hanno goduto di una certa indipendenza all'interno dell'impero ottomano e persiano. In seguito, i turchi, bisognosi di maggiori risorse economiche a causa della propria debolezza sul fronte europeo, adottarono una politica repressiva nei loro confronti, attraverso deportazioni di massa e imposizione di governatori ottomani al posto dei capi curdi, effettuando un vero e proprio embargo verso i diritti esclusivi dell'uomo. Verso la fine del secolo, la questione curda conquistò l'interesse degli intellettuali europei grazie anche alla comparsa delle prime pubblicazioni in lingua curda. L'epilogo della prima guerra mondiale, con la fine dell'impero ottomano, lasciò immaginare che fosse possibile creare uno Stato curdo indipendente."

Ma il trattato di Sévres del 1919-20 non aveva riconosciuto ufficialmente il diritto dei Curdi ad avere un proprio Stato indipendente? Cosa accadde dopo?
"Tre anni dopo, il trattato di Losanna cancellò qualsiasi allusione al popolo curdo e alla loro terra, che rimase, di fatto, divisa fra Turchia, Iran, Iraq e Siria. I contrasti più aspri si verificarono nella nuova Turchia nazionalista, bisognosa di tradurre nei fatti il ruolo centrale che veniva assegnato al popolo turco. E l'autonomia dei curdi fu ben presto cancellata dalle leggi e dall'esercito, che nella repressione fece uso anche di armi chimiche e bombardamenti aerei. Il secondo dopoguerra vide la nascita di una Repubblica indipendente curda, guidata dal curdo-iracheno Mustafa Barzani, ma durò soltanto undici mesi. Barzani fu anche il fondatore del Pdk (Partito democratico curdo), il primo movimento di liberazione dei curdi a impugnare le armi per difenderne la causa e la loro terra. Negli anni della Guerra fredda, la questione curda viene usata soprattutto per cercare di destabilizzare l'Irak, considerato filosovietico: l'appoggio di Iran e Israele consentì a Barzani e ai suoi di concludere un accordo di pace nel 1970, finalizzato a garantire l'autonomia del popolo curdo, ma anche quella volta le aspettative furono tradite. E pochi anni dopo vi fu la nascita, in Iran, del regime di Khomeini, autore della frase: "Uccidere un curdo non è peccato". In quel periodo nacquero nuovi Partiti curdi, tra cui il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), fondato da Abdullah Ocalan, molto attivo sul fronte turco, dove organizzò una vera e propria guerriglia che tra il 1984 e il 1999 ha prodotto 30 mila morti, in parte anche di etnia curda. Nel 1991, in piena Guerra del Golfo, il fronte anti-iracheno ha spinto i curdi a ribellarsi contro il regime di Saddam Hussein, il quale, a guerra conclusa, dette il via all'operazione chiamata "Anfal", una specie di 'soluzione finale' per i curdi, costretti quindi a un terribile esodo verso altri Paesi, mentre viene creata dall'Onu un'area protetta nel nord del Paese: una specie di Kurdistan di fatto, amministrato dai due Partiti principali, fino al 1994. Quattro anni dopo, la questione curda acquistò nuovamente rilevanza europea, nel momento in cui Ocalan fu costretto a lasciare la Turchia chiedendo asilo politico in Italia. La vicenda si chiuse con la nuova partenza di Ocalan per il Kenya, dove fu arrestato. Tuttavia, le sue proposte per un rafforzamento del Congresso nazionale curdo con sede a Bruxelles, rifiutate dal Pdk guidato dal figlio di Mustafa Barzai, hanno messo in luce, per l'ennesima volta, le insanabili divisioni del movimento curdo.  Divisioni così forti e radicate da far pensare che sarà molto difficile, negli anni a venire, poter assistere alla nascita di uno Stato che tutti i curdi possano chiamare "patria". Se un vecchio detto afferma che "i curdi non hanno amici", è lecito sospettare che, spesso, non ne abbiano neanche al loro interno".

Puoi raccontarci, adesso, la tua storia personale, che altro non è che la storia di un popolo senza patria?
"Sono nato ad Ammuda, in Siria. Lì ho trascorso la mia infanzia, tra sofferenze e povertà. Mio padre, avendo sposato tre donne e avendo avuto 21 figli non riusciva a soddisfare i nostri bisogni quotidiani. Con mia madre, sposata in seconde nozze, mio padre ha avuto 11 figli, cinque maschi e sei femmine. Siamo sempre, dunque, vissuti di stenti e con la fame addosso. A otto anni ho iniziato ad andare a scuola, ma anche questa cosa, che io amavo, l'ho dovuta portare avanti con grande fatica. Sono riuscito, tuttavia, ad acquisire un diploma di scuola superiore. A 20 anni, sono andato in Turchia a lavorare come imbianchino. Ho lavorato notte e giorno per poter mettere da parte i soldi e venire qui da voi, in Italia. Nel 2001, chiedendo asilo politico in quanto curdo, sono arrivato finalmente in Italia. Già da piccolo, in ogni caso, avevo una spiccata sensibilità per la musica. Questo, probabilmente, perché condizionato da un mio fratello che suonava il Tambur (una sorta di mandolino). In Italia, ho approfondito la conoscenza musicale giungendo, nel 2010, alla pubblicazione del mio primo Cd. Questo è stato possibile grazie anche alla competenza musicale di mio fratello, che vive a Vienna ed è un rifugiato politico anche lui. La nostra musica esprime il nostro vissuto, il nostro desiderio di avere una Patria. In essa, è possibile trovare la nostalgia per la nostra terra, l'amore incondizionato per la nostra cultura, la ricerca appassionata di affetti mai vissuti e di amori mai sperimentati. Gli strumenti che maggiormente utilizziamo sono il Tambur, il Carneta (flauto) l'Ud (un specie di chitarra) violino, chitarra e pianoforte. Questo Cd è nato grazie ai risparmi accumulati in tutti questi anni. Da ciò si evince l'amore smoderato che sia io, sia mio fratello, abbiamo per la musica, che nell'evocare tratti di nostalgia e di vissuti propri del nostro popolo, vorremo far conoscere al popolo italiano. Agli italiani vorremmo far conoscere una realtà che, per molti di loro, resta sconosciuta. E vorremmo, con i nostri suoni, rallegrare l'anima del popolo curdo, così offesa, così maltrattata. Ho 40 anni, ma nell'animo avverto i sentimenti di un bambino, il bisogno di esprimermi attraverso il suono e, sempre mediante il suono, portar fuori i sentimenti e le emozioni che il mio vissuto mi ha regalato, nel bene e nel male, in tutti questi anni".


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