Vittorio CraxiUn augurio alle amiche e agli amici, alle compagne e ai compagni, per il 2016 appena cominciato. E’ necessario un piccolo sforzo per mettersi alle spalle un anno ‘bigio’, attraversato da molte incognite come negli anni precedenti e funestato dalla tensione generata dalle incertezze sul piano economico e della sicurezza. Convivere con l’incertezza è il segno distintivo del nuovo secolo. Ma quando si assommano diverse ragioni di crisi, inevitabilmente queste si riversano sulla nostra esistenza quotidiana, mettendo in discussione punti di vista e valori consolidati: valori politici, etici, morali e religiosi. Negare questa condizione significa negare la realtà. Si può naturalmente cercare di contrastare questo stato di cose e, naturalmente, le ricette per farlo non possono essere tutte identiche, richiamando l’obbligo di un punto di vista politico. Difficile non apprezzare lo sforzo che viene praticato e predicato, dall’alto della propria inesperienza giovanile, dal nostro primo ministro. Ma negare la realtà rischia di essere una vecchia, anzi vecchissima, ricetta, che lo fa assomigliare al più trito e consumato dei presidenti del Consiglio democristiani che si sono succeduti in passato. L’Italia non cresce più dell’Europa, come ha recentemente sostenuto egli stesso: l’Italia, infatti, non ha aumentato la propria crescita e il suo potenziale appare ridotto. Fare le ‘pulci’ al sistema europeo è certamente un atto di coraggio, poiché dimostra che non dobbiamo avere complessi d’inferiorità. Ma dietro l’orgoglio, c’è sempre il rischio dell’atteggiamento inutilmente presuntuoso. Ci si domanda quali siano i reali effetti delle politiche sull’occupazione, attendendo innanzitutto la fine dei benefici fiscali accordati a chi assume precari. La riemersione stessa del precariato, tuttavia, non coincide con una ripresa occupazionale stabile, al netto dei molti diritti sottratti e della libertà di licenziamenti ‘facili’ concessi mentre riprende, anzi ‘galoppa’, la disoccupazione meridionale. Sul piano internazionale, se da un lato la linea della solidarietà accordata è da ascrivere a una condotta di buon senso che è propria di un Paese civile e, aggiungo, ‘cristiano’ come il nostro, dall’altra appare confusa la linea da assumere nei confronti delle numerose comunità islamiche, oggi al centro di una comprensibile, ma illegittima, pressione sociale e culturale. La lotta al terrorismo - si dice - è innanzitutto culturale. Ma l’azione di contrasto dev’essere sviluppata nel medio-lungo periodo e, inevitabilmente, verrà portata dove essa trova la fonte generatrice. Nel caso del nostro continente, essa è chiaramente figlia del disagio e dell’esclusione. E, nel vicino nord’Africa, della scellerata politica che ha condotto alla fine degli ‘Stati-nazione’, determinando caos e anarchia, con la sola eccezione dell’amica e cara Tunisia. Se l’Italia pensa a nuove avventure, deve saper bene che esse non possono replicare le inutili presenze subalterne in teatri di guerra. Ho delineato, di recente, quali i rischi potenziali potrebbero per noi scaturire da una missione libica senza una rinnovata presenza politica significativa nella complessa vicenda Medio-orientale e nel conflitto ‘inter-arabo’ che si è aperto. Consiglio, pertanto, di seguire di più la linea della politica che quella degli affari, o delle protezioni della destra americana oppure israeliana, come sembra invece fare da tempo il nostro Governo. Crisi economiche trascinano anche crisi democratiche. E, come diceva Norberto Bobbio: “La democrazia è tanto facile perderla, quanto difficile riconquistarla”. E una democrazia a ‘bassa intensità’, dove le minoranze designano delle maggioranze per governare, è una democrazia perduta. L’Italicum è sbagliato, poiché fotografa un bipolarismo che non c’è più e che determinerà una stabilità ‘posticcia’, umiliando le minoranze del Paese, costrette a ‘intrupparsi’ nei ‘listoni’ dominati dai ‘nominati’ e dai grandi e affluenti gruppi politici. Ritengo che i socialisti debbano opporsi a questo stato di cose. E penso che si debba lavorare per ottenere, nel prossimo futuro, una presenza socialista autonoma in parlamento: solo così si ricostruisce una comunità, un’idea, una Storia che ha più di cento anni di vita. Un Partito rivive quando risuscita un sentimento collettivo, un’appartenenza, un’identità. La socialdemocrazia in crisi non può essere sostituita da un generico Partito democratico, ma apre la strada all’arrembaggio delle destre e dei movimenti di segno populista e qualunquista. I socialisti italiani hanno il dovere e la responsabilità di battersi, per evitare una deriva definitiva di subalternità e una speranza di reale rinascita politica. Per queste ragioni, abbiamo suscitato una discussione nel Psi. Non per sfasciare quel che poco che c’è, ma per rilanciarlo in una dimensione politica di autonomia e di forte identità. La linea della subalternità e della vaghezza non fa onore a chi la pratica e sconcerta le migliaia di socialisti che ancora esistono in Italia: gente in carne e ossa, che non possiamo ignorare per piccoli calcoli da ceto politico ‘invecchiato’. Abbiamo sostenuto Bersani con la stessa energia con cui sosteniamo Renzi, che ne era la sua opposta alternativa; altri si attardano pateticamente a sostenere ancora Berlusconi e il suo declino. Spero che il 2016 sia l’anno della riscossa socialista, di un nuovo e motivato impegno politico e sociale per dare una prospettiva di serenità e di certezza alle nuove generazioni italiane. Col passare degli anni, il pensiero corre soprattutto a loro. Ed è un pensiero sincero, non retorico: altro che le ‘mance’ accordate dalla finanziaria. La sinistra si deve battere per dare un futuro stabile e duraturo, senza umiliare le vecchie generazioni ‘rottamate’ idealmente, dimenticando che esse sono - e rimangono - l’architrave della nostra società. Questo è il sentimento che mi muove, mentre stiamo iniziando il nuovo anno, che spero sia veramente nuovo, in tutti i sensi. Un augurio che estendo anche a tutti i vostri cari.




Responsabile politica estera del Partito socialista italiano
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