Clelia MoscarielloSecondo Peter L. Berger e Thomas Luckmann ne 'La realtà come costruzione sociale', edito da Random House, è la società, di volta in volta, a stabilire cosa è normale e cosa non lo è. La realtà si esteriorizza, si oggettivizza e si interiorizza. Quindi, secondo questa tesi, in ogni epoca cambia il concetto di 'normalità' e 'devianza'. 'Tempi moderni', potremmo dire parafrasando Chaplin, quelli di oggi, nei quali assistiamo a 'femminicidi' ogni tre giorni, a stragi familiari, a uso di droghe e mix letali da parte di giovanissimi, con contorno di violenza gratuita. La devianza è un concetto relativo, che varia da epoca a epoca, secondo le esigenze di quella determinata società. Facciamo un esempio: negli anni '60 del secolo scorso, ubriacarsi frequentemente, oppure fare uso di droga di tanto in tanto, apparteneva a un comportamento considerato deviante. Sempre più, invece, le nuove generazioni ci stanno abituando al fatto che tali comportamenti divengono la normalità, poiché il confine tra ciò che è normale e ciò che non lo è si spostato sempre più in là. Di conseguenza, 'impasticcarsi', o fare uso di altre droghe non è più una devianza. E se anche rimane un eccesso, siccome "lo fanno tutti" diviene quasi normale. Ubriacarsi o bere qualche drink di troppo, fino a un ventennio fa era 'trasgressione': ora, ai giovani non basta più. E ci si approccia a sostanze sempre più potenti e raffinate, spesso mescolate all'alcool. Essi si sentono intimamente giustificati, perché "sono in tanti a fare così", aggirando in tal modo il principio di responsabilità individuale. Il soggetto non avverte il suo comportamento come sbagliato, né viene isolato. Anzi, fa parte del gruppo. E la politica, per parte sua, non fa che lanciare messaggi scoraggianti per le nuove generazioni, le quali si adattano a vivere giorno per giorno e non coltivano speranze, né interessi. Meglio una pasticca oggi, che un lavoro domani! Secondo il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman "la crescente difficoltà a fare progetti di lungo respiro costringe a vivere di 'segmenti', di progetti di breve periodo che è difficile combinare in sequenze ordinate, funzionali al miglioramento individuale. Inoltre, non sono rimasti molti terreni solidi su cui gli individui possano edificare le loro speranze di salvezza: l'insicurezza c'è e resterà, qualunque cosa accada". I nostri esempi sopra citati, riguardanti l'abuso di droghe e alcool, potremmo estenderli, nelle loro conseguenze, anche alla guida in stato di ebbrezza, ai tanti incidenti stradali, ai femminicidi e a una sempre più spiccata violenza comportamentale. Quale importanza acquisiscono, in un simile contesto, le relazioni sociali? Nel momento in cui si attribuisce poca importanza alle proprie azioni e se ne sottovalutano le conseguenze, anche le relazioni perdono di solidità. Ci ritroviamo, dunque, in un mondo liquido: "La  liquidità, cioè la mutevolezza e l'incertezza, alla fine qualifica tutti gli aspetti della vita in 'modus vivendi', anche a causa del venir meno di forti interventi di protezione e di tutela delle persone da parte dello Stato", afferma ancora Bauman. Che aggiunge: "E' in atto una separazione tra potere e politica. Il primo si esercita a livello globale e lo Stato ne ha parzialmente perso il controllo: la politica è locale, mentre il mercato è globale. Tuttavia, è possibile rendere l'incertezza meno terribile: questo solo possono fare gli abitanti del mondo liquido". Nel profondo di tale inquietudine del mondo 'liquefatto' emerge una immensa solitudine proprio nel bel mezzo della società della comunicazione. Secondo lo studioso Carlo Bonifati "le comunità virtuali, soprattutto negli ultimi anni, in specie negli ultimissimi, grazie all'affermarsi a livello globale dei social network hanno riscontrato una crescita esponenziale tale da far concentrare sul fenomeno l'attenzione e l'analisi di studiosi delle più diverse discipline delle scienze sociali. Dal punto di vista sociologico, in generale, l'aspetto sicuramente più interessante riguarda il dibattito che si è scatenato intorno alle comunità virtuali circa gli esiti e le prospettive delle relazioni che nascono e si sviluppano all'interno delle comunità stesse. Le analisi divergono in maniera clamorosa: da una parte si tendono a evidenziare gli aspetti positivi e i vantaggi che possono derivare agli individui dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dalla costituzione di queste comunità; dall'altra, invece, la nascita di questi aggregati viene interpretata come un sintomo e una causa della decadenza del senso stesso di appartenenza a una comunità reale e come incremento al senso di solitudine sociale, che sembra una costante di un universo a complessità sempre crescente". La solitudine e l'alienazione accompagna, insomma, un uso sempre più smodato dei social network, grazie ai quali si preferisce spesso rimanere a casa, oppure si esce guardando continuamente lo smartphone. Esistono già casi di dipendenza da Facebook e altri social. Ci piacerebbe che tutta questa comunicazione virtuale si accompagnasse e si aggiungesse a quella reale, magari generando nuove forme di 'smart working', anziché essere lo 'sfogatolo' di ansie e repressioni. I social sono stati indubbiamente una svolta positiva, poiché hanno tranquillizzato molti giovani, impedendogli di star troppo per strada a 'far danni'. Tuttavia, la vera questione di fondo rimane quella dell'utilizzo che di questi nuovi medium noi stessi ne facciamo, o intendiamo farne.


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