Gaetano Massimo MacrìIn un periodo in cui essere 'gay friendly' è di moda e le unioni eterosessuali durano quanto un percorso da minigolf, il matrimonio, quello 'classico', é sempre più la 'tomba' dell'amore. La promiscuità trasversale che interessa le coppie etero, bi e omosex, appare quasi una legge di natura. Potremmo pensare che, cambiati i tempi, anche l'amore sia mutato con essi e si manifesti, ormai, anche attraverso 'servizi accessori'. In nome di una libertà sbandierata ai quattro venti, nessuno osa più legarsi a un compagno o a una compagna. Nella pratica dello stare insieme, si sorvola sul "per sempre". Basta e avanza dire che si sta, punto. Preferiamo poterci divincolare quando è come vogliamo. I 'legacci' mal li sopportiamo. Se questa è davvero la libertà che tanto si voleva desiderare, allora bene: il traguardo è stato sicuramente raggiunto. Ma agli occhi di chi, invece, all'amore ci crede ancora, sembra un controsenso. Volente o no, una coppia d'amore si regge su un legame reciproco. Necessariamente, esso deve basarsi su una fede che non permette di sciogliere quel rapporto al minimo 'ghiribizzo'. Questo lo diciamo a prescindere dalla religione cattolica, che pure tanto peso ha avuto e continua ad avere sul matrimonio. Probabilmente, siamo in una fase in cui non si può stare con un piede in due scarpe: o si sceglie la via 'normale', quella del "mi sposo e rimango fedele per sempre", oppure quella più 'libertaria' del "faccio un po' come voglio". Delle due, l'una, dato che non si ammettono compromessi. Qui non si giudica chi sceglie una strada o l'altra: s'intende soltanto notare che, mentre si avanza sempre più sul sentiero dei diritti civili, non è detto che queste novità determineranno l'affossamento definitivo del matrimonio classico, che forse non è, ancora, la 'tomba' dell'amore. Anzi, un recente episodio di cronaca pare dimostrare il contrario: una coppia di filippini decide di sposarsi. Subito dopo, al futuro sposo viene diagnosticato un male incurabile al fegato: "A conti fatti", dicono i medici, "ne avrà per poco". Poche ore, che non sarebbero bastate le dita di una mano per contarle. Così, per dar sfogo al desiderio di lui, la sposa organizza in 12 ore la cerimonia, che non avviene nella navata principale di una chiesa, ma nella corsia dell'ospedale di Manila. Qualche minuto e si giunge al fatidico 'Sì'. Qualche ora dopo, lui muore nel letto della squallida stanza di ospedale. La scelta di sua moglie, condivisibile o meno, è da rispettare. Proprio come sono da rispettare le esigenze di quanti, in questo momento, stanno lottando per il riconoscimento di nuove unioni civili. Il mondo è grande e vario: c'è posto per tutti. E non è il caso di scalzare nessuno, per far posto a  qualcun altro. Certamente, la storia di quella sposa 'nata' vedova è straziante. Ma rimane una favola. La favola del matrimonio in quanto epitaffio dell'amore.


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