Chiara ScattoneCome quasi tutti gli anni, anche questa volta è arrivato il momento di consegnare, telematicamente, la dichiarazione Isee al Comune per le 'agevolazioni' fiscali sulle rette scolastiche del 'nido', della scuola materna e del post scuola dei nostri figli. E, come sempre, ci poniamo la stessa domanda: perché bisogna compilare l'Isee? Quest'anno le cose, ci dispiace scriverlo, sono ulteriormente peggiorate: non è più lo stesso Caf a rilasciarti il documento, ma dev'essere l'Inps. E quest'ultimo, non in tutte le province e in tutte le regioni riesce a garantire tempi di consegna entro il mese di attesa. Non è solo una questione di 'chi' consegna 'cosa', ma anche di 'cosa' e 'quanti' documenti si debbono presentare allo sportello dell'assistenza fiscale per la compilazione del modello. Certo, i Caf, i commercialisti e i ragionieri dobbiamo pur farli lavorare. Dunque, via con la 'giostra' dei documenti attestanti non solo il reddito, ma anche le proprietà, mobiliari e immobiliari, registrate e non. Documenti che la pubblica amministrazione già possiede, informazioni che già conosce, ma che pretende da noi in forma cartacea (ecosostenibilità ambientale? Sic!) per poi sottoscriverne la completa compiutezza tramite l'istituto previdenziale sanitario. Ora, poiché l'Isee è una dichiarazione sostitutiva, essa contiene solo informazioni afferenti a stati, qualità personali e fatti risultanti da pubblici registri. E così, tutti 'di corsa' dal commercialista o in banca, a sfogliar scartoffie e recuperare dati reddituali e patrimoniali di tutta la famiglia 'allargata'. Già, perché sull'Isee confluisce tutto quello che possiedono, oltre al coniuge o al convivente - se dichiarato tale - anche quello che possiedono tutti i parenti che, in qualche maniera, gravitano nell'ambito del nucleo familiare, pur non facendone parte. Così, per esempio, se tuo marito è cointestatario del conto corrente dello zio o del nonno - ché non si sa mai, un domani, cosa può succedere e almeno tu puoi operare sul mio conto anche se sono in un letto di ospedale - allora tutti i beni cointestati confluiscono al 50% sull'Isee della tua famiglia, ovvero tua moglie e i tuoi figli. Lo stesso vale anche per il reddito dei tuoi genitori, pensione compresa, se disgraziatamente hai deciso di mantenere la residenza a casa loro, per motivi personali o per pura comodità. Ma che c'entra la mamma con la retta che io e te paghiamo al comune? In che maniera noi ne beneficiamo, tanto da influenzare negativamente su ciò che ogni mese versiamo per mandare i nostri figli al nido comunale? Così vuole la legge. E noi, alle leggi, proviamo il più possibile ad attenerci. Però - qui l'avversativa ci sta bene - il dibattito è duplice. La prima problematica è banale e scontata: quanti evadono? La seconda, invece, appare un po' più complessa: perché tassare nuovamente un reddito e un patrimonio, già tassato regolarmente da Irpef, Tasi, Imu e via dicendo? La tassazione 'duplice' di un medesimo bene, reddituale e patrimoniale, è illegittimo: lo sanno bene i critici dell'Imu, secondo i quali quella specifica imposta contrasta manifestamente con i principi espressi dall'art. 53 della Costituzione, secondo cui le imposte devono essere progressive e proporzionate alla capacità contributiva. Progressività e capacità contributiva sono due elementi che, certamente, non sussistono nel caso dell'Imu, in quanto le percentuali applicate sui beni sono fisse, nonché basate solo sulla rendita di quel preciso bene e non sulla capacità contributiva del loro proprietario-contribuente. Ma questo è un altro discorso, che vorremmo per il momento mettere da parte. Certamente, in difesa dell'Isee e della sua applicazione per il calcolo del 'contributo' che i singoli contribuenti-cittadini-beneficiari sono tenuti a pagare per l'utilizzo del servizio, si potrebbe dire che chi più ha - da Isee - più paga. Quindi, la suddivisione in 'scaglioni' del contributo da versare è progressivo: perfetto. Ma siamo sicuri che sia anche proporzionato alla capacità contributiva di ciascuno di noi? Partiamo dall'inizio e cerchiamo di capire cosa si intenda per "capacità contributiva di ciascuno". Secondo una sentenza della Corte costituzionale del 1968, la capacità contributiva è l'idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva di imposta (sentenza n. 97 del 10 luglio 1968). Ovvero, come ha specificato successivamente anche la Cassazione, nella sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, l'esistenza di capacità contributiva si ravvede in tutti i casi in cui "un determinato fatto economico, collegabile al contribuente direttamente (es. il reddito) o indirettamente (es. il consumo) sia indizio, anche in astratto, di una capacità a contribuire del contribuente stesso". Ovvero, la nostra capacità contributiva è quanto guadagniamo e quanto, in base al nostro reddito, siamo capaci di spendere.  Benissimo: tralasciamo per il momento anche le problematiche sollevate dalla dottrina circa la tipologia delle prestazioni imposte su cui dev'essere applicato il principio della capacità contributive. E ricordiamo, invece, quali sono gli altri due presupposti che devono necessariamente esser presenti per giustificarne il prelievo tributario: 'l'effettività' e 'l'attualità'. Infatti, se sull'attualità non ci sono dubbi, sull'effettività qualche perplessità può sopraggiungere e dobbiamo per forza riallacciarci, ancora una volta, alla dottrina e alla Corte costituzionale, per specificare che con la parola 'effettività' si intende il modo certo di poter concorrere in concreto alla spesa pubblica. Ora, forse il quadro sui principi che regolano i meccanismi del diritto tributario è più chiaro. Ma quello che risulta ancora 'oscuro' è cosa c'entri tutto questo con l'Isee, che è solamente un 'indicatore' della situazione economica equivalente, il quale associa il reddito e il patrimonio mobiliare e immobiliare (e mobiliare registrato) alle caratteristiche del nucleo familiare. Secondo gli intenti del Legislatore, l'Isee doveva misurare la condizione economica delle famiglie italiane. E, giunti a questo punto, si apre una voragine: cosa si intende, infatti, per famiglia? Perché, se si prende per buono ciò che sancisce l'articolo 29 della Costituzione, essa è "la società naturale fondata sul matrimonio". Per fortuna, la disciplina giuridica oggi riconosce anche la cosiddetta 'famiglia di fatto' - non fondata dunque sul matrimonio - che dà luogo a una situazione giuridica lecita, che però è oggetto di tutela giuridica solo sotto alcuni specifici profili. Insomma, di fatto, nel nostro ordinamento le famiglie 'di fatto' non sono ancora equiparate a quelle "legittime", provocando distorsioni anche nell'applicazione dei contributi tributari e comunali. Già, perché per chi non è sposato è facile dichiararsi non convivente e garantirsi, in tal guisa, tutta una serie di agevolazioni, che partono dagli assegni sul nucleo familiare all'accesso agevolato e pressoché gratuito ai servizi scolastici, primari e comunali. E questo è il caso degli evasori fiscali, di cui non vogliamo parlare in questa sede, perché si tratta di una problematica che conosciamo bene e intorno alla quale gli animi si scaldano e le coscienze si 'rimpiccioliscono'. Quello che qui ci preme sottolineare - e sostenere - è che l'Isee non rappresenti affatto, come lo Stato vorrebbe, una reale condizione economica delle famiglie e che, anzi, i contributi che discendono proprio dalla sua rilevazione siano addirittura illegittimi. In primo luogo, perché molti dei servizi per il cui accesso è richiesta la presentazione dell'Isee dovrebbero già essere soddisfatti, almeno in larga parte, dalla regolare contribuzione tributaria; in secondo luogo, perché l'applicazione di tali contributi suddivisi a 'scaglioni', o a 'fasce di reddito', di fatto sono la duplicazione del meccanismo del prelievo fiscale, al quale già provvede lo Stato correntemente; in ultimo, questi 'benedetti' contributi confluiscono per la quantificazione del 'quantum' da pagare per il servizio, i beni patrimoniali - e dunque non reddituali, non progressivi ed effettivi - già duplicemente tassati, sia nella loro componente economicamente reale (il reddito che deriva dal loro possesso o dal loro uso come beni locati), sia per la loro sola natura di bene immobile posseduto (cioè avulso dal principio di progressività e capacità contributiva) attraverso l'imu e la tasi. Insomma, con il giochino dell'Isee e dei contributi che ciascuno cittadino deve versare per accedere a determinati servizi comunali e sanitari, è stata 'subdolamente' introdotta la temutissima 'patrimoniale'. L'Isee, difatti, altro non è che un indicatore che determina sì la mia ricchezza complessiva, ma dove però la variabile patrimoniale, mobiliare e immobiliare, incide maggiormente rispetto a quella puramente reddituale/economica e ingloba in sé elementi non associabili, poiché differenti per loro natura. Insomma, tutti i servizi che dipendono dal contributo che ciascuno di noi deve versare in base al proprio Isee (non reddito) e che dovrebbero rientrare, almeno per la maggior parte, tra quelli sostenuti attraverso la normale contribuzione dei cittadini, purtroppo sono proporzionati non tanto alle nostre reali capacità contributive, bensì alla nostra 'ricchezza' patrimoniale, che poco c'entra con la capacità di ciascuno di noi di procurarsi cibo, vestiario, beni di consumo. Il patrimonio non è un qualcosa di commerciale: non è un valore 'liquido', scambiabile sul mercato come il denaro, che invece rappresenta la nostra capacità e disponibilità nel compiere scelte meramente economiche. In una parola: la nostra capacità di spendere e consumare. Certamente, è giusto che ognuno di noi contribuisca alle esigenze dello Stato e ai servizi pubblici cui accede secondo le proprie capacità. Ma siamo certi che l'Isee indichi 'esattamente' tale capacità? Siamo sicuri che sia equo un servizio che si basi prevalentemente su componenti non di reddito e di benessere economico, ma di patrimonio, che in Italia proviene, per lo più, dagli sforzi economici della famiglia di origine o da eredità e non dalla reale capacità di acquisto individuale? È equo che, oggi, una famiglia che vive in un comune del nord'Italia e che presenta un reddito medio lordo annuale di circa 70 mila euro - per i quali paga già regolarmente le tasse per circa 23 mila euro l'anno - possa realmente permettersi di sostenere una 'retta' scolastica mensile per due figli minori di quasi 800 euro al mese, ovvero quasi 9 mila euro l'anno, compresa di retta per il 'nido' e per il centro ricreativo comunale per l'intero mese di luglio? Quei 9 mila euro l'anno che, per appena 632 euro a figlio, possono essere detratti dal reddito e che la famiglia in questione paga al Comune, altro non sono che una tassa aggiuntiva, che equivale all'Irpef pagata da un contribuente che dichiara circa 40 mila euro l'anno. Insomma come si può considerare equo e proporzionale un contributo di questa portata? Come si può ritenere legittimo il pagamento di importi così elevati, che non rispettano i principi costituzionali di proporzionalità, progressività, reale capacità contributiva? Alcuni servizi comunali dovrebbero essere, se non gratuiti - come per esempio i servizi scolastici - almeno a contributo più o meno fisso. O, per lo meno, basati sul reddito, al fine di rispettare i principi costituzionali. Altrimenti, si rischia di ingenerare il solito meccanismo 'diabolico' in cui, a pagarne le conseguenze e le spese più alte, sono sempre gli stessi, con un lento e inesorabile impoverimento per le famiglie.


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Renato Delfiol - Firenze - Mail - lunedi 22 giugno 2015 13.49
Io la dichiarazione l'ho fatta on-line, è alla portata di un soggetto abbastanza scolarizzato, ma è più semplice del caaf perché occorre solo fare le dichiarazioni, senza mandare tutta la documentazione. C'è sempre la solita illegittimità di chiedere informazioni che lo Stato conosce già (stipendi, valori IMU) o che può facilmente procurarsi quando tu gli indichi gli estremi (conti bancari, estremi catastali). L'assurdità della burocrazia mira implicitamente a far sì che l'utente si scocci e non lo richieda (personalmente mi serve "solo" per le prestazioni mediche). Questo dopo tanti strombazzamenti del fisco amico del cittadino, della semplificazione, ecc. Tutti annunci senza contenuto.
Condivido quanto scritto sulla idoneità dello strumento a verificare l'effettiva capacità contributiva. Alcuni dati sono bruti: io per esempio risulto possedere l'anno scorso ben quattro mezzi di locomozione, tutti immatricolati entro il 2003 (siamo nel 2015): avrò lo sconto sulle prestazioni sanitarie?


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