Chiara ScattoneQualche settimana fa, la notizia aveva fatto il giro del mondo in pochissimo tempo, scatenando gli animi 'cristiani' dei più inveterati difensori della religione cattolico-romana. I quotidiani parlavano di "jihad in mare" e di odio religioso sfogato contro un gruppo di dodici disgraziati, gettati in mare perché invocavano il nome di Gesù. Alcuni dei migranti, tratti in salvo dopo 2 giorni di navigazione su un gommone dalla prua pericolosamente sgonfia, avevano raccontato di come si erano salvati grazie a un 'cordone umano' col quale avevano impedito ai 'cattivi musulmani' di completare l'azione di 'repulisti' degli '(in)fedeli' cristiani. La notizia era veramente ghiotta: l'odio religioso verso gli '(in)fedeli' non si ferma nemmeno davanti alla disperazione dei migranti, che invocano il nome di Gesù o di Dio nella speranza di salvarsi dalle onde del mare all'interno di un gommone pericolosamente sgonfio e troppo carico, o da una traversata il cui l'esito è spesso nefasto. Il nemico di oggi, incarnato dai musulmani - peggio se 'neri' e affamati - trova sempre più spazio nei quotidiani e nelle televisioni. I giornalisti ne sono loro stessi bramosi: la guerra di religione alza lo 'share', aumenta le vendita e alimenta quella frizione verso gli 'altri' che fa discutere, soprattutto nelle tribune politiche e nei tavolini dei bar di quartiere. A dire la verità, qualcuno ci aveva provato a dubitare della notizia, giunta troppo precisa e immediata per essere completamente vera. Una ricostruzione che appariva, fin dall'inizio, densa di particolari raccapriccianti. Si tratta di fatti realmente accaduti? Oggi, sappiamo che le cose non sono andate esattamente come si è declamato lo scorso 16 aprile. E che il motivo religioso non è stato il fondamento della rissa scoppiata sul gommone. Pare, infatti, che di rissa vera e propria non si possa parlare e che anche il contesto religioso perda la sua importanza. Tra gli accusati del massacro, ora in cella a Palermo, vi è un ragazzo ivoriano di 29 anni, Kaba Somauro, che sostiene di essere battezzato e di credere in Gesù Cristo. Non solo: sembra che la polizia abbia dimenticato di ascoltare la testimonianza di tutti i 95 migranti presenti sul barcone - a oggi, i 74 non coinvolti sono probabilmente già divenuti irreperibili - per ascoltare solamente quei 6 che accusano formalmente gli autori della strage e che, tuttavia, si sono mostrati fin dall'inizio discordi sull'identità e il numero degli aggressori. Difatti, il riconoscimento di questi ultimi da parte dei 6 testimoni porta risultati completamente disomogenei: uno riconosce 25 aggressori; un altro ne identifica solo 6; un altro ancora ne indica 15. Insomma, gli agenti sono dovuti ricorrere al metodo inverso, mostrando ai testimoni solo le foto segnaletiche dei 15 fermati che, a questo punto, hanno concordato nel riconoscimento degli aggressori. Ma la questione non si ferma qui: la ricostruzione del massacro data dai 15 presunti artefici agli arresti appare completamente diversa da quella descritta dai testimoni. Da quanto emerge dai loro racconti, la rissa - o la disgrazia - sarebbe il frutto della disperazione delle 70 ore di drammatica navigazione a bordo di un gommone con la prua sgonfia, in cui uomini e donne di nazionalità e fede religiosa distinte sedevano senza divisioni e dove coloro che si trovavano a prua si aggrappavano con tutte le proprie forze per non finire tra le onde del mare e mantenere a galla l'imbarcazione. E' stata una 'pura' lotta per la sopravvivenza quella che, probabilmente, ha causato la morte tra le onde dei 12 migranti, cristiani e musulmani. E non certamente una lite scaturita da un'invocazione religiosa a voce troppo alta. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un 'bivio'. E a un dubbio: è lecito accogliere tutte le informazioni che ci arrivano senza critica alcuna? È lecito alimentare, seppur involontariamente, un immaginario  collettivo già stravolto dalle notizie di morte e di guerra dal Medio Oriente e dall'Africa con informazioni non ancora accertarte? Senza voler mettere in dubbio l'indubbia capacità della maggior parte dei nostri giornalisti, una domanda rimane sospesa: quanto del nostro personale pensiero critico dobbiamo utilizzare nello scindere le informazioni e individuare solo quelle effettivamente verificate?


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Antonio Moschitta - Perugia, Italia - Mail - martedi 5 maggio 2015 9.2
Condivido l'articolo tranne che per un dettaglio, quelli che vengono definiti "giornalisti" a mio modesto avviso sono in realtà "propagandisti".


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