Giorgio MorinoLa vita di Oriana Fallaci è stata la Storia stessa del XX secolo. Il regista Marco Turco ha portato di recente sugli schermi Rai il percorso di questa donna che non è mai stata zitta, che non ha mai abbassato il capo di fronte a nessuno e che, al contrario, molte volte quella testa l'ha fatta chinare per la vergogna a chi le stava davanti, raccontando il nostro tempo senza mai nasconderlo. 'L'Oriana' è risultata una fiction abbastanza tradizionale, senza particolari fronzoli o picchi artistici degni di nota: se non fosse per il soggetto rappresentato, probabilmente sarebbe già finita nel dimenticatoio. Nonostante ciò, si è trattato di un ottimo pretesto per avvicinarsi, nel caso in cui si fosse vissuti - come tanti, in questo Paese - in una caverna, alla vita di Oriana Fallaci: una sorta di chiave di lettura a priori dei libri della giornalista fiorentina. Perché è lì, nei suoi libri e nelle sue interviste, che la si può comprendere appieno. Ma trattandosi forse dell'autrice più incompresa nel suo Paese e più apprezzata nel resto del mondo (evidentemente, a noi italiani risulta difficile capire i concetti semplici quando ce li sbattono in faccia così come sono), un sintetico 'ripasso' di Storia attraverso una fiction può solo che far bene. Chi era Oriana Fallaci? Una donna e una giornalista. La fiction ha avuto il merito di non dividere mai nettamente questi due elementi, che si compenetrano a vicenda. L'infanzia in Toscana, durante la seconda guerra mondiale, scoprendo la passione per la scrittura, nonostante dovesse sempre raccontare di morte e d'intolleranza. La testardaggine che la porterà a presentare di propria iniziativa un articolo al giornale 'l'Europeo', diventandone in breve tempo la 'firma di punta', in grado di realizzare interviste rimaste nella Storia, dei veri e propri"incontri di pugilato" dove nessuna risposta data era soddisfacente. La prima puntata si è concentrata sul percorso formativo della scrittrice: le sue esperienze negli Stati Uniti e nel resto del mondo, il reportage sulla condizione femminile nel mondo che l'ha portata fino in Pakistan, a scontrarsi contro la retrograda tradizione del matrimonio prestabilito e al buio. Con l'espediente abbastanza scontato, ma efficace, di un'Oriana malata che riordina i propri ricordi, questo film-tv ha poi presentato in una serie di flashback lineari, che ci hanno accompagnato fino all'evento cardine della prima parte: il Vietnam. L'essere corrispondente di guerra in un'esperienza così sconvolgente segnò profondamente la Fallaci. Il Vietnam divenne un'ossessione, una lente attraverso cui raccontare la vita dei soldati, di chi soffriva per una guerra senza senso. Ci ha un po' stupito l'eccessivo didascalico con cui gli eventi sono stati rappresentati: una successione troppo rapida degli eventi giovanili e un eccessivo soffermarsi sull'esperienza nel sud-est asiatico, forse giustificato dalla gravità dell'evento. Avremmo preferito una maggiore attenzione al carattere indagatore della giornalista. Oppure, che alcune interviste fossero mostrate integralmente e non solo ascoltate di sfuggita al registratore. La seconda parte si è soffermata sull'aspetto umano di Oriana Fallaci: l'amore per il rivoluzionario greco Alekos Panagulis, interpretato da un ottimo Vinicio Marchioni (il 'Freddo' di 'Romanzo criminale', la serie) che ha cambiato per sempre la sua vita. Forse, si è trattato della miglior caratterizzazione, ben riuscita proprio grazie all'interpretazione di Marchioni, che ha cercato di rendere giustizia alla sofferenza di Panagulis; al suo essere poeta ma anche rivoluzionario; al suo bisogno di essere in Grecia a combattere il regime dei Colonnelli, ma di volere anche una sua vita insieme a Oriana. Proprio in questo frangente è stato collocato l'episodio più commuovente della vita della giornalista: l'improvvisa gravidanza e la perdita del bambino a cui la Fallaci ha poi dedicato il commovente 'Lettera a un bambino mai nato', nel quale l'autrice riflette sulla gravidanza e sul far nascere un figlio in un mondo ostile. Dopo la morte di Panagulis (l'esperienza umana di questo straordinario personaggio fu poi raccontata dalla scrittrice fiorentina nel romanzo 'Un uomo'), la Fallaci ha continuato il suo lavoro girando il mondo e raccontandolo, perché questo è il giornalismo: andare a testa bassa, senza mai accettare un 'no' come risposta, sempre alla ricerca di qualcosa in più. Iconico, in questo senso, l'episodio dell'intervista con l'Ayatollah Khomeini nel 1979, subito dopo la rivoluzione che depose lo Scià di Persia, istituendo un governo basato sulla Shari'a (l'applicazione ferrea della legge di Dio secondo il fondamentalismo islamico) in cui la Fallaci ebbe il coraggio di dire apertamente quello che pensava al dittatore. In faccia, togliendosi il velo. La Fallaci è stata accusata di essere anti-islamica, di odiare i musulmani. Chiunque l'abbia fatto ha solo dato prova di estrema superficialità e di profonda ignoranza: avvertire qualcuno di quello che sta per accadere non è essere bigotti, bensì - e più semplicemente - essere lucidi analisti del mondo. E Oriana Fallaci ha dimostrato, visto quello che stiamo vivendo oggi, di esser stata la più lucida di tutti. Quando l'11 settembre del 2001 le Torri Gemelle crollarono, la giornalista decise di rompere il suo silenzio dal rifugio che si era creata a New York e, trovandosi suo malgrado inviata di guerra ancora una volta, decise di avvertirci del pericolo imminente nel lunghissimo e celeberrimo articolo 'La rabbia e l'orgoglio'. Esagerata, vecchia cornacchia: tanti sono stati gli epiteti affibbiati ingiustamente alla Fallaci dopo la pubblicazione di quel lungo brano sulle pagine del 'Corriere della Sera'. Dopo l'intervista a se stessa e una riflessione sull'essere giornalista donna e madre allo stesso tempo, nonché sull'amore, il sipario cala. E allo spettatore è rimasto il gusto amaro di un qualcosa che si è concluso troppo presto, o che poteva essere esplorato meglio. D'altronde, se si è riusciti a massacrare le vicende dell'Odissea in quattro puntate con 'Il ritorno di Ulisse', forse una puntata in più a Oriana Fallaci poteva anche essere concessa. Poche righe le riserviamo all'interpretazione di Vittoria Puccini, che non ci sentiamo di lodare, ma neanche di condannare in toto, poiché ci rendiamo conto della difficoltà di rappresentare un personaggio del genere. Anche perché, per farlo sarebbero stati più importanti i silenzi, piuttosto che le urla. Cosa resta, quindi? La Storia di una donna dura e spigolosa, di una"stronza" ostinata, ma capace di grandi passioni e di un'umanità superiore a quella dei benpensanti o delle persone cosiddette 'perbene'. Una giornalista che non ha mai studiato per diventarlo, perché non si studia per poter fare questo mestiere: lo si fa e basta, lì pronti a raccogliere tutto, senza mai accettare un 'no' come risposta. In fondo, per comprendere Oriana Fallaci serviva molto meno di una fiction: bastava leggere i suoi libri.


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