Michela ZanarellaLa lettura è una passione che si è evoluta di pari passo con la tecnologia e i social network. Leggere, oggi, è a portata di click. E la rapidità di circolazione delle informazioni e delle notizie consente a chiunque di conoscere in tempo reale quel che accade nel mondo. Questa velocità mediatica si è diffusa non solo per i blog e i siti, ma vale anche per i libri, che in forma digitale stanno prendendo piede, in Italia, seppur non nello stesso modo che negli altri Stati. E' ancora relativamente bassa la percentuale degli estimatori degli ebook, che si aggira intorno al 3% del mercato letterario, secondo i dati Istat. La storia della lettura ha tuttavia appassionato storiografi di origini diverse. Tanto che si è arrivati a studiare l'evoluzione di questa pratica nei millenni, partendo dal mondo greco fino all'età moderna. Analizzando con attenzione ogni epoca, si può percepire come l'approccio alla lettura si modifichi in base all'appartenenza geografica e sociale, dai processi di alfabetizzazione alle realtà ambientali, che influiscono sulle scelte individuali. Ovviamente, la lettura è strettamente legata alla scrittura, si influenzano e si incrementano vicendevolmente: più si producono opere letterarie, più esiste la possibilità che cresca la cerchia di potenziali lettori, che varieranno in base ai generi proposti. Non è detto, comunque, che se il mercato editoriale sia in crescita, in maniera direttamente proporzionale sia cresciuto anche il numero dei lettori. Anzi, da questo punto di vista l'Italia è il fanalino di coda rispetto ai Paesi membri dell'Unione europea. Anche se il digitale sembra essere sinonimo di rivoluzione, poichè consente di fare una sorta di 'zapping' tra i paragrafi e permette di accederere a una biblioteca 'tascabile' vera e propria, nel nostro Paese rimane ancora forte la preferenza per il cartaceo, che sembra garantire a chi legge una sorta di familiarità, a partire dal contatto con la carta, fino alla possibilità di far godere alcuni dei propri sensi, vista, tatto, olfatto, assimilando i colori e gli odori del libro, rendendo così più intimo il processo di lettura. I social network sicuramente hanno contribuito a modificare l'orientamento e le abitudini di chi legge. Resta invariato, in ogni caso, il piacere che si prova, qualunque sia la forma, di adagiare gli occhi tra pagine, virtuali e non, che possono accompagnarci in altre realtà. Uno degli autori più apprezzati nel panorama letterario italiano è Marcello Simoni, che nel 2011 ha pubblicato il romanzo 'Il mercante di libri maledetti' (Newton Compton Editori), raggiungendo il secondo posto nella classifica dei libri più venduti in Italia, vincendo il Premio Bancarella 2012. Che sia in cartaceo o in ebook, la sua produzione letteraria piace. E chi lo segue non ha mai smesso di farlo. Il thriller medievale è un genere che affascina e suscita curiosità: saper unire abilmente Storia, mistero, intrighi, emozioni non è così semplice, poiché ciò comporta una conoscenza tale da stimolare la creatività nelle fasi di scrittura.

Marcello Simoni, quali sono le mosse strategiche per scrivere un libro che susciti l'interesse dei lettori?
"La prima regola per uno scrittore è non dimenticare mai che si sta lavorando a qualcosa destinato, prima di tutto, a intrattenere. La narrativa - anche se storica o votata a sollevare questioni importanti - deve conservare la capacità di rapire il lettore fin dalla prima pagina e tenerlo per mano fino alla fine".

In base alla sua esperienza di scrittore, lei pensa sia cambiata, nel corso degli anni, la tipologia dei suoi lettori, oppure riscontra una sua 'nicchia' ben definita?
"Ho uno 'zoccolo duro' di fidelizzati, quasi di 'followers', che attendono ogni mia nuova uscita in libreria e che, ormai, hanno imparato a conoscermi (parte di loro mi contatta spesso sui 'social', instaurando con me un filo diretto). Insieme a questi, credo vada maturando in molti altri la consapevolezza che non scrivo semplici storielle da ombrellone, bensì romanzi strutturati su diversi piani di lettura, anche se rigorosamente di 'genere'. I più attenti hanno ormai capito, per dirla tutta, che non ho nulla a che fare con i thriller 'insipidotti' in salsa Dan Brown".

Come si è evoluta la sua scrittura rispetto al suo primo 'thriller medievale'?
"Con la crescente consapevolezza di voler fare sempre meglio, senza perdere di vista l'obiettivo principale: divertirmi attraverso la scrittura".

Ne 'L'abbazia dei cento peccati', sempre edito della Newton Compton per la collana Nuova Narrativa, non manca la storia e la simbologia legata all'Apocalisse e la sua passione per il Medioevo è sempre forte: cosa l'ha portata ad affrontare, in questo suo lavoro, la vita monastica? E perché ha scelto l'abbazia di Pomposa come ambientazione?
"Amo Pomposa, al punto da poter affermare che la mia passione per il Medioevo - anzi per la Storia - nasca proprio fra le sue mura. In quel monastero si respira ancora l'aria del XIV secolo, carica di suggestioni molto più profonde di quelle provenienti dai libri di Storia e dalle fonti d'archivio. Allo stesso tempo, amo i simboli e le contraddizioni appartenenti a un'epoca lontana, che non conosceremo mai appieno. Un buon esempio è il 'monachesimo', che nel XIII-XIV secolo si è sviluppato lungo sentieri ingarbugliati e non privi di insidie. L'eresia, la crisi dei valori, la simonìa, le false reliquie, il timore verso il diverso e la lotta per le investiture erano dietro l'angolo a ogni passo, marchiando la mentalità del monaco medievale e dell'intero occidente laico. In fondo, la Chiesa odierna sembra non aver completamente superato il retaggio di queste imbarazzanti incoerenze. Anche questo è noir...".


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Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - domenica 22 febbraio 2015 20.41
RISPOSTA AL SIGNOR GIAVAZZI: egregio lettore, il titolo di un'intervista si fa estrapolando, tramite frase virgolettata, la notizia più inedita tra quelle esposte da un personaggio chiamato a intervenire. In questo caso, l'autore da noi presentato ha sostanzialmente parlato di se stesso in quanto scrittore, ma al termine dell'intervista ha formulato una frase che noi abbiamo ritenuto importante, che dimostra come si tratti di uno studioso dell'epoca medievalista capace di ricostruire la Storia con gli occhi dell'oggi, cioè rendendola attualizzabile, in grado di coinvolgere i propri lettori, cosa non semplice in questo Paese. Peraltro, sui titoli è in atto, da anni, una discussione molto approfondita in campo giornalistico, dovuta al fatto che, molto spesso, per noi giornalisti un dettaglio diviene più importante e significativo dei contenuti presentati globalmente. Si tratta di una riflessione collettiva assai accesa, che dura ormai da decenni. E che, comunque, ha sostanzialmente lasciato ai giornalisti piena autonomia e libertà di titolazione, essendo, tra l'altro, tramontate figure professionali quali titolisti e correttori di bozze. Una scelta, quest'ultima, di cui la nostra categoria a suo tempo non fu certo felice, poiché creò ulteriore disoccupazione. Se si vuole veramente una società regolata dal mercato e la possibilità di poter vivere esercitando delle professioni in piena autonomia professionistica, allora si deve anche cercare di comprendere cosa ciò significhi in molte situazioni di circostanza. Al limite per provare, quanto meno, a essere coerenti con se stessi. Comunque, la ringrazio per il suo commento, che mi ha dato modo di esporre una problematica effettiva della nostra professione. Una questione che, ovviamente, rimane aperta alle opinioni e ai punti di vista di tutti. Cordiali saluti. VL
Giovanni Giavazzi - Vigevano - Mail - domenica 22 febbraio 2015 17.19
Trovo del tutto fuori luogo e fuorviante il titolo assegnato a questo pezzo.
Eppur è riuscito a farsi leggere da me, dal momento che non conosco Simoni e mai avrei letto una sua intervista. Mi aspettavo una critica laicista alla Chiesa ...


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