Clelia MoscarielloIl Festival di Sanremo 2015 versione Carlo Conti si è concluso. Non è stato, a nostro parere, tra i migliori: certamente, riconosciamo al presentatore di aver realizzato una manifestazione assai 'garbata', senza colpi di scena o polemiche eccessive, maggiormente incentrata sulla competizione tra le diverse canzoni. Può darsi si sia trattato di una buona 'dieta', per la kermesse sanremese: in fondo, debbono essere i brani musicali e la segnalazione dei fenomeni stranieri del momento i compiti principali di un appuntamento del genere. Dunque, conveniamo con i più sul fatto che, in questo modo, si sia opportunamente rimasti sul 'binario' più naturale della manifestazione. Epperò, ci sono dei però. Alcune cadute di stile non sono piaciute: il richiamo tradizionalista alla famiglia meridionale, provvidenzialista e numerosa, della prima serata; la scelta di due cantanti come Arisa ed Emma nelle vesti decorative di accompagnamento femminile, le quali, non per loro colpa, si sono talvolta ritrovate fuori ruolo; la selezione stessa dei brani presentati, che hanno palesato un dato di omogeneizzazione degli arrangiamenti teso a comprimere i gusti musicali degli italiani; i numerosi richiami nostalgici agli anni '80, con la riapparizione di Albano e Romina Power e lo 'scongelamento' degli Spandau Ballet. E' la formula di 'basso profilo' che, generalmente, ama il conduttore in persona: Carlo Conti. C'è da dire che, nonostante la partenza alquanto sottotono delle prime serate, è fuori discussione come, a un certo punto, il festival abbia cominciato ad assumere una sua fisionomia più precisa, una propria identità, un andamento uniforme. Ma si è trattato, questo dobbiamo dirlo, di uno spettacolo diretto all'everyman, appiattito sui gusti delle grandi masse, senza troppa ricerca di 'nicchie' particolari o di un target di pubblico dal palato più sofisticato. E' un modo anche questo di fare televisione: comprendiamo benissimo la 'tipizzazione' perseguita. E lo stesso Carlo Conti, dopo le fatiche di questi giorni - che gli riconosciamo - si candida ormai a pieno titolo a diventare l'erede più autentico di Pippo Baudo. Tuttavia, ci attendevamo qualcosa di più, sotto il profilo qualitativo. Hanno contato i numeri, i dati di ascolto: il risultato, insomma. Lo abbiamo capito. Un Festival 'catenacciaro', tendente a colpire in 'contropiede', secondo l'atteggiamento umile e utilitaristico delle squadre di calcio 'provinciali', allorquando debbono affrontare le compagini più 'blasonate'. Un Sanremo andato via così, in cui si è compreso molto poco intorno al grado di evoluzione della musica italiana. E anche quel poco che si è visto, come per esempio la maturazione artistica di Nek, il quale ha dimostrato tutte le sue qualità di eccellente 'live performer', non ci è apparso valorizzato e premiato adeguatamente. In fondo, il festival di Sanremo tutti gli anni è un po' così, come quando si deve andare dal dentista: via il dente, via il dolore.


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