Alessandro LozziIl nostro giudizio sui sedicenti pacifisti, quei depositari della verità che non hanno mai un dubbio e che dividono il mondo con l’accetta, da una parte il Bene (cioè loro) dall’altra il Male, lo abbiamo già espresso. Non vale la pena tornare sull’argomento, ma una osservazione su questi “odiatori” di professione non può essere sottaciuta: sono così sensibili alle sofferenze dei civili irakeni che in nome di quella che Machiavelli chiamava ragion di Stato (e Stalin e Mao ragion di partito) si rallegrano che non sia una guerra lampo ed auspicano un conflitto lungo e sanguinoso.
Chi come noi sa che all’uomo non è stato concesso il felice destino di poter scegliere un bene che sia solo un bene e di evitare un male che sia solo un male, non si sottrae alle scelte che la vita gli pone e tuttavia porta con sè il dubbio della propria scelta.
Tra il dittatore Saddam ed il presidente della più grande democrazia del mondo noi abbiamo scelto senza esitazione quest’ultima.
Lo abbiamo fatto considerando varie ragioni sia di politica che di sicurezza internazionale, ma lo abbiamo fatto soprattutto in nome della libertà.
La nostra scelta a differenza di quella dei “pacifisti odiatori” non è dogmatica e contiene quindi alcuni se ed alcuni ma. Primo fra tutti la tutela dei diritti umani. Non ci piace per niente questo cono d’ombra che si sta irradiando sui prigionieri talebani detenuti nel carcere cubano di Guantanamo che, come ipotizza Gianni Riotta sul Corriere della Sera, potrebbe allargarsi ad alcuni sodali di Saddam. E lo diciamo chiaramente con questo numero di Laici.it.
La guerra in Irak che in nome della libertà e della democrazia ha rotto così fragorosamente l’equilibio internazionale preesisitente non può e non deve contenere questa aporia.
Gli Usa sono, da sempre, il Paese della libertà ma anche delle contraddizioni, basti ricordare che il filosofo Jhon Locke scrisse la costituzione della Carolina prevedendo sia la tolleranza religiosa che la schiavitù. Anche per questo l’assenza dell’Europa si avverte pesantemente.
Le immagini di Guantanamo che lo stesso Pentagono ha rilasciato mostrano esseri umani umiliati, vestiti nella tuta arancione dei condannati a morte, le mani e le caviglie legate, le orecchie coperte da cuffie isolanti, la bocca chiusa da bende di garza, gli occhi bendati da occhiali oscuranti. Vedendo queste fotografie tornano alla mente le parole di Ernesto Rossi: “Per l’idea di libertà si fanno le guerre e finisce che, senza accorgersene, c’è chi accetta la servitù pur di vincere la guerra”.
Fa bene Riotta a ricordare che durante la seconda guerra mondiale gli americani tennero i prigionieri tedeschi e italiani in modo esemplare, nutrendoli e in alcuni casi facendoli studiare e che il confronto con i lager tedeschi ed i gulag russi fece di questi detenuti i più grandi ambasciatori della libertà americana. Oggi non può essere diverso da ieri.
Dobbiamo dirlo chiaro e forte: la premessa fondamentale della guerra globale al terrore è che questa sia condotta nel nome della giustizia e della civiltà giuridica, solo questo la giustifica, solo questo la rende necessaria ed accettabile.
Se l’11 settembre, come noi riteniamo, non è stato un gesto scellerato ma un atto di guerra che richiede una reazione del tenore di quella in corso, il Pentagono non può sostenere che a questi detenuti non si applica la protezione della Convenzione di Ginevra in quanto “combattenti illegali”. Questa definizione, che giuridicamente non esiste, li rende confinati in una zona grigia del diritto internazionale che non può essere sostenuta da chi si batte per il trionfo della libertà ed il diritto. Questa tesi non è accettabile: se si dovesse ritenere che questi uomini non sono detenuti di guerra altro non rimarrebbe che qualificarli come terroristi, cioè criminali che devono essere sottoposti al giudizio della magistratura e non ad una commissione di militari senza diritto di appello.
Non dobbiamo mai stancarci di ricordare che quello che più importa in fatto di diritti di libertà non è tanto la loro solenne proclamazione teorica, al modo dei sacri testi francesi, quanto la concreta osservanza soprattutto quando questo è più difficile e cioè non a nostro vantaggio, ma a tutela degli avversari.
Chi come me, laico e non credente, ha sempre ritenuto che Parigi non vale una Messa, può oggi con grande serenità affermare che Bagdad non vale Guantanamo.

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