Susanna SchimpernaI giornali la accusano. Lei urla: "Basta, non ne posso più. Cosa vogliono da me? Io ho detto la verità. Io voglio solo il mio bambino. Perché non me lo danno? Voglio toccarlo, voglio abbracciarlo". Contraddizioni e omissioni. E' questo che si imputa alla madre di Andrea Loris Stival, il bambino di otto anni il cui corpo è stato trovato in un canalone di cemento, strangolato - oggi lo sappiamo - con una fascetta stretta con forza incredibile intorno al suo collo, che poi è stata tagliata con delle forbicine. Nella perquisizione effettuata a casa dei genitori, Veronica Panarello e Davide Stival, sono state rinvenute forbicine che potrebbero essere, come si dice in linguaggio tecnico, 'compatibili' con quelle che sono state usate. E il padre di Loris, su invito della moglie, alle maestre che erano andati a trovarli dopo la scomparsa del bambino ha consegnato una scatola di fascette "che Loris avrebbe dovuto portare a scuola per i lavoretti" (lavoretti e fascette di cui le maestre hanno detto, stupite, di non sapere nulla) e che sono, anche queste, compatibili con quella stretta intorno al collo di Loris. Ma chi ascolta quando si dice che bisogna aspettare le analisi per capire se si tratti davvero delle stesse strisce e delle stesse forbicine? Chi riflette sul fatto che siano oggetti comunissimi, presenti nella maggior parte delle case? Ogni nuova scoperta è considerata dall'opinione pubblica una prova. E già si parla dell'orrore supremo, quello a cui nessuno vuole credere eppure sembra, più che aleggiare, circolare senza remore nei discorsi che si fanno in famiglia, nelle ricostruzioni televisive: madre assassina. Subito bisogna ricordare e sottolineare, a questo punto, che Veronica Panarello non è neppure indagata. Lo è soltanto, come atto dovuto, il cacciatore che ha trovato il corpo di Loris e che, finora, ha un alibi (fornitogli dalla moglie) e si mostra tranquillissimo. Ma Veronica ha contro di sé, appunto, contraddizioni e omissioni. Vediamo quali. La sua ricostruzione è stata molto semplice: avrebbe percorso via Giacomo Matteotti e avrebbe lasciato il figlio a poche decine di metri dall'ingresso della scuola. Ma nessuna delle quaranta telecamere che avrebbero potuto riprendere la scena mostra nulla del genere. Le telecamere dicono, invece, che il bambino non è mai salito in macchina ed è rientrato in casa; che nella versione di Veronica ci sono 15 minuti di 'buco'; che la sua Polo nera ha transitato nella zona in cui poi è stato ritrovato il corpo. Ma anche di fronte a queste evidenze, Veronica grida di aver detto la verità, di avere tutti contro. E insiste a dare particolari, si affanna a voler ricordare ogni minuto di quella tremenda mattinata. Sta malissimo, non mangia, è sconvolta. Abbiamo visto le sue foto: una 25enne sorridente, carina e bionda. E l'abbiamo vista mentre gridava, sorretta perché incapace di camminare, irriconoscibile. Da quando suo figlio è scomparso non è mai stata lasciata sola, non sarebbe in grado di sopravvivere. Si è indagato sulla sua vita. Ed è venuta fuori un'infanzia difficile, la certezza di non essere stata voluta, quattro sorelle che lei dichiara figli di padri diversi dal suo. Il primo bambino, Loris, avuto a soli 17 anni e poi, dopo l'altro, una depressione post-parto. Due tentativi di suicidio, uno recente. La dichiarazione di essere infelice. Sarà tutto vero? Sono indiscrezioni del Corriere di Ragusa, riprese da varie trasmissioni televisive e dalla stampa. Ma anche se fosse? Che tutto questo possa tracciare il quadro di una 'figlicida' è accettabile esattamente quanto lo è il contrario: si tratta di situazioni e condizioni che possono portare una donna ad amare i propri figli ancora più teneramente e profondamente. Le reazioni disperate, al limite dell'autolesionismo di Veronica, sono spiegabili in maniera altrettanto convincente come conseguenze di un gesto di follia poi compreso, o come espressione di quello che prova una madre a cui viene ucciso un figlio. E mentre i dettagli più terribili non ci vengono risparmiati da una spettacolarizzazione che ogni giorno di più si dimostra necrofila e priva di ogni rispetto per il dolore e la morte, questa donna grida: "Perché non me lo ridanno, rivoglio il mio bambino, voglio toccarlo, abbracciarlo"! Dovremmo fermarci su questo, adesso. E rispondere a questo grido atroce e giusto: perché, perché no?




(articolo tratto da 'Il Garantista' del 7 dicembre 2014)
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