Michela ZanarellaForse è riduttivo ricordare Pier Paolo Pasolini come uno degli intellettuali che hanno segnato la Storia, come regista di film che ancora oggi sono un riferimento per chi è del mestiere. Ma Pier Paolo è stato molto di più, come evidenziò Alberto Moravia nell'orazione funebre del 5 novembre 1975. Non tutti, per esempio, conoscono la sceneggiatura de 'La Nebbiosa', scritta nel 1959. Pier Paolo dopo la pubblicazione di 'Una vita violenta' fece un viaggio a Milano. Con viva curiosità cercò di sviscerare le realtà di una città che non conosceva, allo stesso modo di Roma. Affidandosi ad alcuni giovani teppisti della zona s'infilò nei locali dei cosiddetti 'teddy boys', frequentando i 'night' del centro. Osservò nel dettaglio la vita di una Milano in espansione, senza mai tralasciare la periferia. Tutto divenne fonte di riflessione e di studio accurato per lui, specialmente il linguaggio. 'La Nebbiosa' non è mai diventata un film, come in realtà avrebbe dovuto essere: la sua sceneggiatura non è stata mai presa in considerazione dai registi. Il Saggiatore ha perciò deciso di editare integralmente, nella collana 'Le Silerchie', questo lavoro di Pasolini, rispettandone la primissima stesura. Addentrandosi nelle prime pagine del libro, si viene proiettati direttamente sul set: il bar 'Metanopoli'. Interno. Sera. La trama si svolge in una sola notte, a Capodanno. Tra macchine rubate e motociclette, un gruppo di ragazzi festeggia. Non sono festeggiamenti tranquilli: i giovani spaventano una coppia, rubano gioielli, rapiscono tre signore e le costringono a un'orgia. Per non parlare dell'omossessuale che fanno salire forzatamente in macchina fino a denudarlo, bruciandone i vestiti. Una gioventù estrema e dannata, incattivita da un ambiente che ne modifica in negativo i comportamenti, portandoli oltre il limite consentito. I 'teddy boys' compiono le loro atrocità in una città come Milano, ricca di contrasti. Pier Paolo studiò il 'gruppo', o meglio il 'branco', raccontandone la crudeltà con estrema precisione e puntiglio. Nei dialoghi è evidente come Pasolini voglia proprio far emergere le forti personalità di questi giovani "selvaggi". La società inizia a utilizzare il termine 'teddy boy' nei primi anni cinquanta, proprio per manifestare il problema della delinquenza giovanile nelle metropoli. Pasolini riesce a condurci lì, nelle strade, nei locali, tra i vicoli del Naviglio e i grattacieli, con il Contessa, Mosè, il Gimkana, il Rospo, capo della banda, accompagnandoci alla scoperta di luoghi in cui prende forma tutto il disagio di una generazione cresciuta nel boom economico. La nebbia che domina Milano si manifesta con prepotenza quasi abitudinaria nella sceneggiatura: "La chiara, fitta nebbia delle alte notti invernali della Val Padana, avvolge l'antico paese manzoniano. Ecco il tozzo campanile romanico: la facciata della chiesa, barocca e paesana". Pasolini cerca di portare alla luce gli aspetti contraddittori di Milano, dallo sfarzo borghese alla crudezza dei teddy boys, due mondi apparentemente lontani che, tuttavia, coesistono e che, per forza di cose, rappresentano lo stile di vita di una metropoli spesso coperta dalla nebbia: la 'nebbiosa' Milano, appunto. Un'indagine critica e affascinante di una società che ha mille volti, mille sfumature e infinite verità.


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Antonino Caponnetto - Mantova - Mail Web Site - sabato 1 novembre 2014 21.43
Confesso che, appena finito di leggere il denso articolo di Michela, sono rimasto in preda al desiderio di seguitare nella lettura, passando immediatamente dall'articolo al libro, alla sceneggiatura del film, ai commenti alle foto documentarie, ai riferimenti bio-biblio-cinematograsfici, ecc. E questo per il semplice fatto che l'articolo stesso riesce a restituire atmosfere, immagini, sensazioni che hanno una grande potenza evocativa, quasi mitica, di un momento storico-sociale ancora abbastanza vicino a noi, e da molti di noi - almeno in parte - anche vissuto. Ma il carattere mitico di quel breve periodo è dato forse dalla nostalgia per l'impossibile ritorno a un tempo difficile, è vero, ma comunque gravido di speranze, un tempo che già allora covava i germi della grande crisi odierna. Ma rappresentava allora, malgrado tutto, la possibilità che l'ancor giovane Italia repubblicana sapesse e potesse sviluppasi armonicamente, crescendo sia rispetto ai singoli che alla collettività. Così non potè, né avrebbe potuto essere. Seguirono infatti gli anni prolifici e profetici del nostro Pasolini. In tutti i campi artistici nei quali si cimentò, egli continuò a essere e rimase forse l'unico vero intellettuale impegnato vivente allora in Italia, l'unica vera coscienza della nazione, l'unica vera voce capace di parlare per un popolo intero, e non solo a quelli della sua stessa generazione, ma a più generazioni di giovani, a quelle già "invecchiate" come a quelle future.
Leggerò questo libro. Non potrei evitarlo. Sento, per questo, di dover essere grato a Michela e a questo suo breve ma coinvolgente scritto.

Antonino Caponnetto


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