Vittorio LussanaLe notizie provenienti dal Medio Oriente e dalla striscia di Gaza hanno risvegliato un pigro inizio d’estate composto da mondiali di calcio e riforme istituzionali fatte a metà. ‘Ruzzolano’ palloni nella rete del Brasile (10 goals subìti nel giro di 2 partite), così come cadono i razzi di Hamas provenienti dalla striscia di Gaza. Solo che l’esercito israeliano non è il Brasile. Almeno, non quello degli ultimi tempi, stordito e incapace di elaborare una reazione: cede alle provocazioni e si vendica in modi che, a noi occidentali, appaiono quanto meno sproporzionati. Centinaia sono le vittime civili palestinesi di questi ultimi giorni. Per non parlare del numero dei feriti. Da una parte, il sogno estremistico di cancellare lo Stato di Israele si contrappone a una difesa arcigna e vendicativa di un territorio disegnato ‘a tavolino’ alla fine della seconda guerra mondiale, finalizzato a trovare una soluzione alla millenaria diaspora ebraica cominciata ai tempi di Tito (l’imperatore romano, non certo il maresciallo jugoslavo che abbiamo conosciuto nel corso del XX secolo…). Tuttavia, quel che più porta dolore del conflitto mediorientale è la constatazione di un ‘groviglio’ talmente immerso nella Storia da rendere comprensibili i motivi per cui Dante Alighieri, durante la stesura della sua ‘Commedia’, decise di collocare l’Inferno proprio nel sottosuolo di Gerusalemme, avvalorando indirettamente l’antico anatema scagliato dal figlio del falegname di Nazareth: “Città che uccide i profeti: tu sarai maledetta nei secoli”. Siamo di fronte a una maledizione millenaria, che possiede radici profondissime, fin dalle origini dell’umanità. Sin dai tempi in cui Giosuè ricondusse il popolo ebraico nella “terra promessa” alla fine del biblico esodo dall'Egitto. Il Medio Oriente è esattamente questo: un enorme ‘crogiuolo’ di culture e religioni millenarie, il luogo in cui tutto ha avuto veramente inizio, un debito inestinguibile nei confronti del destino universale. Ma noi non amiamo giudicare ogni cosa sotto il profilo ‘mistico’ di un eterno conflitto tra bene e male: non comprenderemmo mai nulla di laico in un simile e indecifrabile ‘rebus’ della Storia, se inquadrassimo la questione in questo modo. La pace in Medio Oriente, secondo noi, dev’essere un qualcosa che sappia prescindere da rivendicazioni e vendette. Dovrebbe andare oltre le questioni territoriali contrapposte a una concezione della libertà protetta dalle armi. Ci sono due popoli? Dunque, non possono che esserci due Stati, in pacifica convivenza. Si tratta di una ‘formula’ tutt’altro che retorica: è un concetto così semplice che si fa realmente fatica a comprendere perché debba essere trasformato in una mera utopia. Gli arabi che vogliono la distruzione di Israele non rispondono affatto alla propria antichissima cultura, bensì si dimostrano prigionieri di un labirinto secolare che li obbliga ad agitarsi sulla scena di questo incredibile ‘teatro di crisi’ come dei poveri disperati alla ricerca di un’improbabile via d’uscita. Allo stesso modo, la teorizzazione della vendetta da parte di Israele per le persecuzioni subite nel corso dell’intera Storia del mondo condanna questo popolo ad aggirarsi eternamente nel deserto dell’ossessione, dell’atavica autocommiserazione innalzata a ‘falso idolo’: non è questo ciò che ci aspettiamo dal ‘popolo eletto’. Queste terribili ‘camicie di forza’ stanno rendendo impossibile ogni forma di dialogo: siamo di fronte a due popoli che non sono affatto prigionieri della loro Storia o delle proprie culture, bensì che si dimostrano posseduti dal morbo inestirpabile del conflitto patologico, capaci unicamente di teorizzare instabilità e violenza in quanto sintomi precisi di una gigantesca malattia psichiatrica collettiva, impossibile da debellare. Una ‘piaga’ che risiede stabilmente lì, in Medio Oriente. Come se questa regione non fosse altro che il centro focale di un ‘cancro’ che tende a diffondere metastasi in tutte le altre parti del mondo. In casi come questi, a cosa può servire una semplice dichiarazione di condanna? Serve, invece, una vera e propria diagnosi psichiatrica, un referto ufficiale di follia giunta all’ultimo stadio di indegnità innanzi all’intera comunità internazionale. Dichiarare questo non vuol dire rifiutarsi di prendere una posizione a favore di una parte contro l’altra. Al contrario, attraverso un simile ‘referto’ si reclama una terapia al contempo lenitiva e curativa, capace di sedare i sintomi della malattia al fine di eliminarne le cause più vere e profonde. E la causa principale di questo male rimane una primitiva concezione ‘cumulativa’, l’ossessione irrazionale per il conflitto terroristico e la guerra in quanto metodi esclusivi di risoluzione delle controversie. Un ‘virus’ che ci trascina tutti innanzi a un male scientificamente più autentico e pericoloso: lo scontro di civiltà.





Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
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Michele Vittorio - Bari - Mail - martedi 15 luglio 2014 10.33
Come ci hanno imposto la raccolta differenziata porta a porta, basterebbe imponessero la chiusura delle FABBRICHE DI ARMI, PER 5 ANNI: I PROSSIMI! Annullando persino le commesse acquisite, che se dovessero essere soddistatte tutte, rimanderebbero la chiusura al 2030! C'è tanta tanta cultura in quello che scrive, complimenti! mi.vi.di.


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