Johann Rossi MasonCi sono persone belle, affascinanti, alle quali la vita sorride. Hanno successo, la gente le ama, fanno buoni matrimoni e hanno figli belli a loro volta. Persone fortunate? Forse non solo. Spiega la propria teoria la sociologa Catherine Hakim, in forze ala London School of Economics, con un saggio che ha già fatto scalpore e provocato polemiche. Il libro esordisce con una storia: Anna ha perso un lavoro ben retribuito in una società di servizi finanziari e ha necessità di trovarne uno nuovo. Si mette a dieta e perde peso, si iscrive in palestra, sceglie un nuovo taglio di capelli, acquista un abito sobrio che però la mette in risalto e la fare sentire a suo agio. Nel giro di tre mesi trova un nuovo impiego di consulenza che le rende il 50% in più. Che un aspetto piacevole e buone maniere possano fare la differenza è noto universalmente, ma la Hakim conia un nuovo concetto, lo estremizza e porta a suo carico numerosi studi scientifici che avvalorano la sua teoria. Investire sull’aspetto sarebbe vincente per un meccanismo sbilanciato nel desiderio sessuale: gli uomini desiderano più sesso di quanto riescono ad averne e le donne, che possiedono un richiamo erotico maggiore, sono generalmente meno interessate. Per la legge economica della scarsità, ciò che manca assume subito valore. Essere quindi belle, piacevoli, attraenti innescherebbe un processo positivo, che irradia i suoi effetti non solo nella vita privata e sessuale nel senso di maggiori probabilità di incontrare un partner, ma anche nelle più semplici interazioni sociali. I capitoli seguenti sono estremamente ricchi e interessanti, ma a un certo punto la sociologa scivola sulla ‘buccia di banana’ e dedica un intero capitolo ai vantaggi economici della vendita del corpo ai vari livelli, dalla strada ai grandi alberghi, sostenendo che vendere il proprio corpo non solo è estremamente remunerativo, ma darebbe alle donne che lo fanno, spesso giovani studentesse che esercitano per due-tre anni allo scopo di pagarsi gli studi, una maggiore fiducia in se stesse e una forte autostima. Allora viene il dubbio che il capitolo sia lì proprio per suscitare una reazione forte e affermare che, in realtà, solo in pochissime culture la vendita del corpo non è considerato svilente. Dopo la provocazione, la Hakim torna nei binari di un ottimo saggio, affascinante come la sua teoria e ricco di esempi, anche se mi sarei aspettata che rispondesse ad alcune domande: la bellezza reale vale più, meno o quanto quella artificiale? La bellezza è un vantaggio anche nel matrimonio e può essere spesa come valore nelle negoziazioni o è soggetta ad assuefazione? E perché omette di sottolineare come la bellezza susciti reazioni positive perché il cervello umano è programmato per recepire il bello e reagire positivamente in quanto la visione scatena una serie di reazioni piacevoli? E come ‘usare’ la bellezza come plusvalore nelle contrattazioni? In alcuni passi, infatti, sembrerebbe che il capitale erotico debba essere utilizzato come merce di scambio: se le donne sono più attraenti e desiderabili e gli uomini hanno meno sesso di quello che desiderano, l’assunto dovrebbe essere che quelle donne scambino sesso per altre merci. In realtà, il ‘capitale erotico’ esercita i suoi effetti in maniera molto più raffinata: avere a che fare con persone belle e affascinanti è gratificante tout court, anche in assenza di una promessa di intimità. Le donne più intelligenti o, forse, più capaci di amministrare il proprio capitale di fascino sono quelle che riescono a evocare una velata promessa di possibilità che non manterranno mai. Ma questa è un’altra storia.




(recensione tratta da ‘Bon vivre’, portale tematico del sito www.liberoreporter.eu)
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