Mario Michele Pascale“Un patto tra i democratici e i progressisti per l’Italia”. E’ il progetto politico di Pierluigi Bersani per il futuro del Paese, che viene rivolto ai Partiti di centrosinistra, associazioni, movimenti, liste civiche, sindaci. Con questo, nella sua relazione alla Direzione nazionale del Partito, Bersani auspica primarie aperte, cui lui parteciperebbe come candidato, per la scelta del leader dei progressisti e dei democratici italiani alla guida del Paese. Fin qui la superficie dello stagno. Vediamo cosa si agita sotto le limpide acque. Il primo grande assente di questo ragionamento è Di Pietro, al quale viene rivolto un messaggio abbastanza chiaro: se vuoi essere della partita basta critiche, ti devi allineare e stare buono in un angolo. Il patto non nomina neanche il Psi, che all’interno di questo schema non viene neanche considerato. La casa dei democratici e dei progressisti di Bersani altro non è che un patto tra Pd e Sel (e Vendola non a caso si è affrettato ad aderire all’ipotesi delle primarie) aperto a frammenti della società civile. Dietro a una facciata liberale si agita lo spettro della vecchia ‘egemonia’ del Partito in cui si fondono i retaggi culturali comuni di Sel e di parte del Pd. Lucidamente, Franco Bartolomei, membro della segreteria nazionale del Psi, identifica nella proposta di Bersani “la morte della sinistra italiana”. Ciò perché “appare sempre più evidente che Bersani lavora esclusivamente al completamento del progetto Partito democratico come contenitore moderato della maggior parte del centro-sinistra. Un contenitore utile a una politica di gestione dello Stato e dei rapporti sociali esistenti ben lontana da ogni progetto di alternativa di modello. In questo senso, cerca di realizzare lo stesso disegno non riuscito a Veltroni”. In pratica, siamo di fronte alla riproposizione di un ‘Ulivo troncato a sinistra’, aperto al centro e che espunge da sé i socialisti. Il segretario del Psi, Riccardo Nencini, anche se i socialisti non sono stati contemplati nel discorso di Bersani, si è affrettato a dichiarare che il Psi parteciperà alle primarie. Non è stato detto se presentando un proprio candidato o sostenendo altrui ‘campioni’. In ogni caso, si tratterebbe di una partecipazione che vedrebbe il Psi minoritario all’interno di uno schema di egemonia culturale fortemente penalizzante per gli ideali e le pratiche socialiste e che condannerebbe il Partito alla subalternità politica. Nonostante i proclami, infatti, né Pd, né Sel aderiscono al socialismo europeo. Su questo punto è ancora più lucido Bartolomei, sostenendo, in antitesi con la proposta del segretario Pd, la necessità di un accordo a sinistra del Partito democratico che tenga unite le forze storiche della sinistra italiana che abbiano all’orizzonte non la gestione dell’ordinaria amministrazione in ossequio ai poteri forti, ma vere, reali alternative di sistema. Alternative che, per il Bartolomei, sono “socialiste”. In casa Psi la questione si pone con estrema urgenza: da un lato uno schema, quello dell’adesione alla progettualità politica di Bersani che, inevitabilmente, porta alla subalternità nei confronti del Pd; dall’altro, un modello di alterità che, partendo dalla rivendicazione del ruolo, della storia e dalle peculiarità socialiste e ponendo la questione socialista come centro gravitazionale su cui aggregare il dissenso, si ponga in antitesi con il tentativo di egemonia ‘bersaniano’. Urge, a questo punto, un Congresso in cui le idee si confrontino e dove il Psi recuperi una direzione univoca. Il momento storico lo impone: l’Italia ha bisogno di un Partito socialista forte, com’è nel resto dell’Europa. Le nostre simpatie, inutile dirlo, vanno nella direzione di un’alterità rispetto al Pd. Il Partito democratico, infatti, nasce per gestire società opulente e viene originariamente pensato per un mondo da cui il concetto di crisi era stato espunto. Oggi, non c’è bisogno di “moderati”, ma di persone e pratiche politiche che diano riposte coraggiose e abbiano la capacità di progettare il futuro a livello di alternative di sistema. Il Pd questo non lo può fare o, diciamo meglio, lo potrà fare solo ed esclusivamente dopo una “ristrutturazione interna”. Bersani vuole caricare “democratici e progressisti” su una ‘macchina’ che perde pezzi e che si tiene insieme solo grazie alla forza gravitazionale di un consenso sempre più eroso. Se Bersani vorrà governare e sconfiggere le destre non avrà bisogno di servi e sensali da assimilare, ma di alleati seri, che sono un’altra cosa. Il patto tra i democratici e i progressisti per l’Italia non è nulla se, accanto, non ha un soggetto politico autonomo di sinistra che faccia ‘la sinistra’ e che sia in grado di dare al Pd ciò che gli manca: la capacità di guardare oltre il proprio ombelico.




(articolo tratto dal blog www.mariannetv.wordpress.com)
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ARBOR - MILANO - Mail - martedi 19 giugno 2012 10.15
Ma dove vuoi tornare ? alla politica dei due forni ? Ricordiamoci che da quel partito sono usciti prima Mussolini e poi Craxi, per non parlar di Nenni che aveva ricevuto il premio Stalin! Stendiamoci una tendina e non rievochiamo fantasmi, la politica si fa con i voti, non con i congressi (di quattro gatti che si riuniscono in una cabina telefonica); se veramente pensate di poter risorgere, cercatevi gli elettori.... poi si vedrà.


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