Clelia MoscarielloLa cappella del Duomo di Torino è una delle massime testimonianze dell’arte barocca. Guarino Guarini, infatti, non creò solo una complessa struttura architettonica, ma utilizzò la costruzione stessa al fine di produrre un’illusione ottica. Questa sua opera resta una delle migliori espressioni della geometria proiettiva di Desargue, dalla quale l’artista e sacerdote dell’ordine dei Teatini ha tratto ispirazione per le sue ardite strutture. La cappella è nota anche per essere il luogo dov’era custodita la Sacra Sindone sino all’incendio del 1997 (la reliquia oggi risulta esposta in una teca antistante la sontuosa Tribuna reale). Sono trascorsi oltre 15 anni da quell’evento, dei quali i primi dieci sono serviti a effettuare studi e ricerche: il cosiddetto ‘cantiere della conoscenza’. Poi è stato dato l’annuncio che tutto era finalmente pronto per far partire i restauri. Spesa prevista: 25 milioni di euro (che si aggiungono agli 11,4 milioni erogati per il consolidamento del basamento della cupola); durata dei lavori: 2 anni. Ma quando, nel 2008, parte la gara di appalto per la riabilitazione strutturale si evidenziano difficoltà di progettazione. Problemi che si trascinano fino al 2010, diventando motivo di scontro fra l’azienda incaricata, la Corit, e la Direzione regionale per i Beni culturali. La prima viene sollevata dall’incarico, mentre la seconda affida il restauro alla Arcas (seconda nella gara d’appalto del 2008). Eppure, a tutt’oggi ogni lavoro appare bloccato. Indubbiamente, i problemi da affrontare sono stati tanti: dal recupero della materia prima - i marmi di Frabosa, che rivestivano la cappella e per i quali si decide di riaprire le cave chiuse alla morte del Guarini nel 1683 - all’assenza dei disegni originali dell’artista, un genio della geometria che aveva calcolato la staticità della struttura creando un complicato sistema di conci, al fine di realizzare la costruzione circolare senza una struttura portante. Sembrano essere pochissimi i veri ‘esperti’ in tale settore scientifico. Come, per esempio, Franco Rosso, ex docente del Politecnico di Torino che, in anni di studi, ha approfondito minuziosamente questo capolavoro architettonico, ricostruendo disegni precisissimi. Ma chi ci fornisce una spiegazione dei reali problemi di restauro e di ricostruzione è l’ingegner Giampiero Di Lella, che da quando si è laureato, nel 1999, con una tesi sugli ‘Aspetti strutturali e costruttivi della cappella del Guarini’, depositando persino un modello in gesso presso l’Archivio di Stato di Torino, non ha mai smesso di studiare quest’opera. La sua testimonianza assume una rilevanza non soltanto accademica, poiché è uno dei pochi che ha avuto l’opportunità di vedere la cappella prima e dopo l’incendio del 1997, effettuando un sopralluogo richiesto dalla Corit per fornire un parere aggiuntivo sulle criticità dei progetti approvati. Una spiegazione che appare più esauriente di quei dieci anni di ‘cantiere della conoscenza’ concretizzatisi in un restauro infinito.  

Ingegner Di Lella, per quale motivo non riusciamo ancora a intravedere la realizzazione definitiva del restauro della cappella del Guarini?
“La risposta è semplice: perché non si è ancora compreso il senso del monumento ‘guariniano’. In 15 anni, per buona parte del tempo si è cercato di studiare il monumento con la nostra visione e i nostri mezzi. Questo è quanto di più sbagliato e fuorviante si potesse fare: la cappella della Sindone non può essere ‘calcolata’ secondo i nostri criteri. Le scelte progettuali operate dal Guarini non sono sussunte con il calcolo alle leggi della scienza delle costruzione. All’epoca di Guarini, la scienza delle costruzioni non esisteva ancora. Ecco perché si parla di arte del costruire: nell’arte va ricercata l’essenza della costruzione ‘guariniana’ e solo dall’arte può arrivare la soluzione al problema del restauro. In altri termini, sul consolidamento della cappella della Sacra Sindone per quindici anni si è fatta filosofia, ma adesso che si tratta di mettere in atto quella filosofia, i problemi emergono in tutta la loro virulenza. Un secondo ordine di considerazioni è dettato da una semplice evidenza: come ben sappiamo, ogni costruzione procede dal basso verso l’alto. E dal basso verso l’alto, infatti, il Guarini assemblava in contemporanea i blocchi lapidei che costituiscono il nucleo rivolto verso l’interno, costruendo la muratura in mattoni rivolgendola verso l’esterno. In questo procedere, pietre e mattoni erano intimamente ‘solidarizzati’ tra loro. Tutto ciò sembra banale, ma se oggi qualcuno sostiene di poter sfilare un concio di pietra e sostituirlo con facilità, slegandolo dal suo contesto, è evidente che non ha percepito questa banalità. Ovviamente, tutto è possibile: si pensi a come ne risulterebbe scompaginata la tessitura muraria allorquando si andassero a sfilare migliaia di conci dalla loro posizione originale. In ogni caso, io rimango fermamente convinto che questa operazione generi due motivi di preoccupazioni: il primo è quello che perderemmo, una volta per tutte, la testimonianza di come il Guarini ha costruito il monumento; il secondo, che arriveremmo a un risultato con molte zone di debolezza che non sappiamo come potrebbero stabilizzarsi. Se tutto ciò non bastasse va aggiunto che manca il materiale: si è infatti deciso correttamente di utilizzare il marmo di Frabosa, riaprendo le vecchie cave da cui aveva attinto il Guarini. Ma dopo anni di indagini ci si accorge, oggi, che il marmo, in realtà, è fratturato e non può essere utilizzato come elemento portante. Mi chiedo: c’era bisogno di disperdersi in ricerche lunghe e costose per capirlo? Anche qui sarebbe bastato osservare con attenzione il monumento per capire, a costo zero, che in realtà quel marmo era già fratturato nel seicento. Guarini lo ha lavorato e posto in opera senza dargli, nella stragrande maggiorana dei casi, una funzione portante. I blocchi erano con ossessione solidarizzati tra loro tramite legature metalliche e, quando si rompevano durante la lavorazione, erano riassemblati e posati in opera lo stesso”.

Ma cosa impedisce veramente di portare a termine i lavori di restauro, secondo lei?
“La presunzione di essere tenutari di un sapere infallibile, quando in realtà non si è neanche superficialmente compreso il ‘modus operandi’ del Guarini. Questo monumento è unico nella storia dell’umanità, poiché rappresenta la sintesi di saperi stratificati in una storia tecnologica durata millenni. La sintesi originalissima operata dall’architetto teatino richiede una grande umiltà d’approccio. Questo è il ‘peccato originale’: abbiamo ritenuto di essere detentori di strumenti molto più elaborati di quelli seicenteschi utilizzati dal costruttore originario e non ci siamo accorti che si imboccava una strada senza uscita. Io mi auguro che qualcuno abbia finalmente l’umiltà di ammettere gli errori fatti. Oggi, si può ancora tornare indietro: il danno non è stato ancora fatto. Ma domani? Non possiamo restare in silenzio e assistere a un oltraggio, avendo come unica certezza la perdita irrimediabile di una testimonianza unica del genio dell’uomo”.

Lei ha scelto di laurearsi in ingegneria proprio con una tesi sugli ‘Aspetti strutturali e costruttivi della cappella del Guarini’ e ha realizzato un modello in gesso depositato presso l’Archivio di Stato di Torino: cosa l’ha spinta a scegliere questo argomento e cosa ha scoperto in merito?
“Il caso, o il destino forse. In effetti, mi sento un privilegiato nell’aver potuto vedere prima dell’incendio la cappella della Sacra Sindone in Torino. Allora, nel 1996-97, ero un laureando presso la facoltà di ingegneria al Politecnico di Torino. Mi trovavo a svolgere, in quegli anni, il servizio civile, sostitutivo del servizio militare, presso la Soprintendenza dei Beni ambientali e architettonici del Piemonte. Fortuitamente, fui portato un giorno nel cantiere di restauro della cappella: mai avrei immaginato il segno che quella visita avrebbe lasciato in me. Da subito compresi di essere innanzi a un’opera unica. La prima sensazione fu di stupore: completamente disarmato, osservavo quelle pietre assemblate tra di loro con una maestria impenetrabile. Man mano, l’interesse cresceva e decisi di cominciare a rilevare alcuni piccoli particolari per comprenderne le geometrie. L’interesse diventò sempre più forte e passai mesi di impegno giornaliero a documentare e rilevare ogni particolare. All’improvviso: l’incendio. I miei rilievi e studi sul monumento s’interruppero e cominciarono le ricerche presso l’Archivio di Stato, nel tentativo di ricostruire le vicende del cantiere seicentesco. Nonostante avessi accumulato una mole notevole di rilievi e conoscenze, mi rendevo conto che le tavole di rilievo erano mute. Le geometrie erano così complesse che ogni rappresentazione sul foglio ‘piano’ perdeva di significato: c’era sempre qualcosa che non tornava. Allora decisi di costruire il modello in gesso. Quella divenne l’occasione per verificare e riscontrare ciò che avevo rilevato e studiato. In scala, ho ripercorso il processo costruttivo: il modello non era solo la rappresentazione del monumento in miniatura, bensì rappresentava l’avventura stessa della sua costruzione, permettendomi di fornire tante risposte su come potevano essere stati risolti i problemi costruttivi dal Guarini. In effetti, l’idea di costruire un modello non era originale: il Guarini stesso, prima d’intraprendere la costruzione della cappella, ne costruì uno in legno. Ci lavorò per mesi, coadiuvato da molti minusieri ed ebanisti. Purtroppo, quel modello è andato distrutto, così come sono andati dispersi quasi tutti i disegni originali. Nel 1999 decisi di stralciare una piccola porzione dei miei studi per discutere la mia tesi di laurea”.

Quali sono i misteri della cappella della Sindone?
“Non so se nella cappella della Sindone vi siano dei misteri: io ho studiato gli aspetti costruttivi e strutturali del monumento. I misteri sono altra cosa: eventi arcani, conoscenze iniziatiche e non è questo l’oggetto delle mie ricerche. Indubbiamente, molti hanno parlato di strutture portanti misteriose,  occultate. Io credo che la verità sia un’altra: il Guarini, per costruire il suo monumento, ha dovuto risolvere problemi anche complessi, ma comunque confinati entro un ambito ben preciso che si chiama ‘arte del costruire’. Noi, invece, oggi parliamo di scienza delle costruzioni: il mistero nasce se si vuole interpretare a tutti i costi l’arte del costruire con la scienza delle costruzioni. Arte e scienza non sempre muovono dagli stessi principi. In buona sostanza, se ci ostiniamo a voler individuare una struttura portante secondo i nostri parametri di conoscenza, allora sì: avremo di fronte un mistero. Nella sua costruzione, il padre teatino ha dovuto risolvere moltissimi problemi. Due in particolare costituiscono, al contempo, vincolo e stimolo: la preparazione dei conci e il loro montaggio. Entrambi venivano affrontati con la stereotomia, ovvero il ‘trait’, com’era definito nella trattatistica francese. La stereotomia in realtà è la disciplina che individua il processo costruttivo di un concio, ne determina la forma e i passi da seguire nella costruzione. In sintesi, definisce le istruzioni da dare allo scalpellino affinché egli possa scolpire il concio in pietra in maniera perfetta, tale che assemblato assieme a quelli adiacenti costituisca una struttura “forte e meravigliosa”. In questo è da ricercare l’essenza della cappella della Sacra Sindone. La stereotomia è l’unica chiave di lettura efficace. Qualsiasi approccio diverso conduce a una incomprensione che porta a parlare di ‘misteri’. Ma il Guarini non aveva tempo da dedicare ai misteri: ha costruito la cappella in soli quindici anni”.


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giovan battista cencioni - roma italia - Mail - domenica 8 novembre 2015 10.51
Sono molto sorpreso e felice dal modo di studiare un opera architettonica che consideri "umilmente" la propria ignoranza pur di capire come questa sia stata realizzata. Il concetto del sommo artista che nasce dal nulla è molto comune ma non può essere applicato agli artisti di quel periodo, si nasceva e si cresceva dal basso risalendo tutti i gradi pur di apprendere quanto più possibile per realizzare poi la propria idea nuova.. complimenti all'umile curiosità del professore Di Lella


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