L’On. Marco Rizzo, è parlamentare del Partito dei Comunisti Italiani.

On. Rizzo, la Progressive Governance Conference, ovvero la riunione dei leader progressisti mondiali svoltasi recentemente a Londra e organizzata da Tony Blair, ha dato l’impressione di aver abbandonato ogni velleità ideologica di ‘terza via’ tra globalizzazione violenta e welfare assistenzialista: lei conferma questa analisi?
“Io credo che un conto sia la creazione di un’interlocuzione tra le forze di progresso, che è comunque un’idea giusta al fine di un’analisi dei problemi del mondo attraverso interscambi multilaterali, ma ben altra cosa sia riuscire a far convergere politiche spiccatamente sociali, come ad esempio quella di Lula in Brasile, con quella di Tony Blair, assolutamente guerrafondaia e tesa a spaccare l’Europa. Nell’idea generale di una sinistra di progresso complessivo del mondo, ci deve essere un messaggio assolutamente forte per un’Europa unita, cioè di un’Europa come forte soggetto politico. Blair è stato il primo che, assieme ai leader dei Paesi governati dalla destra, Berlusconi in Italia e Aznar in Spagna, ha voluto seguire le scelte di politica internazionale degli Stati Uniti e anzi, per certi versi, egli è addirittura corresponsabile di quelle scelte, se vogliamo seguire attentamente le polemiche createsi intorno ai servizi segreti e alle false informazioni sulle fantomatiche armi di distruzione di massa dell’Iraq - le quali ancora non si vedono -, e che sono servite proprio a giustificare la guerra. Quindi, un conto è il dialogo, altro conto è il confronto, altro conto ancora è pensare di far stare nella stessa barca Lula e Blair, poiché quest’ultimo non c’entra nulla con quello che si può pensare debba essere la futura sinistra europea”.

Lei ritiene possibile la nascita di un innovativo sentiero di sinistra liberale, in Italia e nel mondo?
“L’idea che vi sia una sinistra moderata, così come quella che permetta l’esistenza di forze centriste interne ad un determinato quadro democratico, sarebbe un’intuizione di per sè positiva, poiché c’è la necessità di impostare alleanze con tutte le forze di sinistra. Di qui a pensare, però, che la sinistra stessa debba essere, oggi, per forza liberale dopo quello che ha combinato, in questi ultimi decenni, il liberalismo nelle sue forme più primitive o provinciali, è un po’ un controsenso”.

Ma lei si ritiene un riformista o un massimalista?
“Io sono un riformatore, che è cosa ben diversa: l’azione riformatrice sta nell’idea originaria stessa del Partito Comunista di Palmiro Togliatti, cioè quella di fare concretamente le riforme. E non mi sento affatto un massimalista nell’affermare simili concetti, così come non mi sento un riformista: sono, infatti, e mi definisco, un comunista…”.

Non rimane un problema di fondo, nella sinistra italiana, legato alla questione del ‘craxismo’? In che modo lei si pone la questione storica della figura di Bettino Craxi e come intende cercare di recuperare le forze del socialismo autonomista al confronto dialettico e programmatico con tutte le altre forze della sinistra?
“L’esperienza del socialismo italiano è stata storicamente ricca, forte, interessante. Devo dire però che, nell’esaltazione di certe scelte di natura fortemente ideologica, operate dal Psi - si pensi a quella in favore di Proudhon rispetto a Marx - e se penso a ciò che ne è conseguito nel panorama della politica italiana, cioè una fase di fortissima influenza, in Italia, di un partito socialista, ritengo che poi, alla fine, proprio quel tipo di impostazione abbia anche portato, purtroppo, alla liquidazione stessa dell’esperienza socialista. Io non intendo ‘mettere le braghe’ alla Storia, né tantomeno suggerire ad altri quel che essi devono fare. Ma, francamente, chi oggi si ritiene socialista non può non stare che da questa parte, col centrosinistra. Nel nostro Paese, è ormai ben connaturato il sistema bipolare e non si pensa più, di un qualsiasi esponente, a quale partito appartenga, bensì se è schierato con Berlusconi o col centrosinistra e soltanto in seconda battuta vengono considerati i partiti, soggetti anch’essi comunque rilevanti. Tuttavia, un partito che si definisce socialista e che sta con il centrodestra, mi sembra proprio che si ritrovi a vivere in una fortissima contraddizione in termini”.

Una scissione dell’ala liberal dei Ds per andare a formare una forza di sinistra liberale proprio al centro degli schieramenti politici, lei la vede poco probabile o proprio inopportuna?
“Più che altro la vedo ipotesi poco probabile, soprattutto in seguito a quanto successo all’interno dei Ds, dove c’è stata la grande ‘ventata cofferatiana’ che poi, però, si è risolta in uno ‘spiffero’. Questo ha ricomposto il quadro degli equilibri e credo che oggi l’esperienza della sinistra dei Ds, il cosiddetto ‘correntone’, il quale ha comunque dimostrato grande capacità comunicativa e di rapporto con i movimenti e la società civile in genere, sia oggettivamente rientrata. Dunque, mi appare difficile possa avvenire la distinzione del genere da voi ipotizzata. Francamente, pur affermando che la politica non si faccia con alchimie o con le procedure del Risiko, io penso si possa arrivare ad una sinistra forte e ad un solido centro alleati assieme. Anche perché spesso ci sono persone di centro che in realtà sono più a sinistra di molte altre che si definiscono tali, come, ad esempio, Rosy Bindi: ma come certamente saprete, la politica italiana, talvolta, è ben strana…”.

Perché, secondo lei, a sinistra lo scontro è stato così cruento, nei decenni scorsi?
“Perché la sinistra è stata spesso ‘cannibale’: intorno a ciò non ci sono dubbi. E comunque perché hanno cominciato a pesare, ad un certo punto, i personalismi. Ma forse era anche il ‘segno dei tempi’, che stavano effettivamente mutando. Del resto, una volta voi avreste interloquito con Berlinguer o con Togliatti, mentre oggi intervistate Marco Rizzo…”.

Che tipo di rapporto state pensando di ricostruire, strategicamente, con Rifondazione e come riuscirete, nel contempo, a coinvolgere l’elettorato moderato, laico e cattolico, in un futuro programma di governo?
“Noi, in quanto comunisti italiani, rispetto a Rifondazione possiamo solo dire: meglio tardi che mai. Bertinotti, a ben guardare, ama talvolta fare il ‘gioco dell’oca’ e così, ogni tanto, gli capita di finire sulla casella: ‘ritorna al via’. Se fossi un elettore di Rifondazione, oggi avrei più che qualche cosa da dire. Io sono stato tra i fondatori di Rifondazione. Eppure, vi dico, nel 1996 quel partito aveva ottenuto, come dato percentuale proporzionale, l’8,6% abbondante e, nel 1998, nei sondaggi veleggiava verso il 9,5 %. Bene, ad un certo punto Bertinotti decide di far cadere il governo Prodi, con tutte le conseguenze che sono poi avvenute proprio in seguito a quella decisione, poiché anche la vittoria di Berlusconi nel 2001, a mio parere, è discendente diretta di quella svolta. Bene, oggi Rifondazione chiude un ‘patto organico’ con l’Ulivo, ovvero un accordo che è già un dato di fatto e con un leader di coalizione che risulta essere lo stesso Romano Prodi. Poi ci saranno i militanti da ammansire e i soliti tempi della politica, ma la ‘ciccia vera’, alla fine, è che l’accordo sarà questo. Bertinotti, insomma, nel 2006 riporterà Rifondazione ad un accordo organico con l’Ulivo, si ritrova Prodi leader e, però, oggi, ha la metà dei voti: ne valeva la pena? Il nostro discorso è un altro, invece, quello di una sinistra più forte e responsabile. Noi a febbraio faremo un Congresso per dire esplicitamente una cosa: a quelle idee, a quelle proposte, a quella ventata che è servita ad avanzare in queste elezioni, mi riferisco a Cofferati, noi ci crediamo ancora e l’idea portante del nostro partito dev’essere una grande apertura verso i temi del lavoro, della pace e dei diritti. Noi sappiamo di non riuscire ad intercettare, come partito, quella grande proposta di una sinistra molto attenta ai bisogni e alle rivendicazioni, ma questo non si è tutto sciolto nella candidatura di Bologna. Noi non vogliamo sostituire nessuno, insomma, ma continuare in quella direzione. Anche un ottimo rapporto con il centro deve rimanere, per carità: io sono il primo a preoccuparmi quando vedo Di Pietro che vuole andare via, quell’altro che si offende, Mastella che intavola trattative in tutte le direzioni. Noi dobbiamo, in conclusione, raccogliere il massimo di adesioni da parte del centro moderato. Però, che ognuno faccia il proprio mestiere: la sinistra faccia la sinistra, il centro faccia il centro”.

Facciamo ancora un po’ di fantapolitica. Poniamo il caso che Silvio Berlusconi improvvisamente ‘rinsavisca’ e decida di entrare in una coalizione di centrosinistra magari accompagnato da Casini e Buttiglione: sarebbe il classico ‘governissimo’ di salute pubblica o un’ammucchiata incomprensibile e priva di qualsiasi identità programmatica?
“Sarebbe sicuramente un’ammucchiata, perché, ripeto, nell’opinione pubblica italiana è ormai acquisito il senso del bipolarismo, delle alleanze di schieramento. Io stesso mi metterei di traverso ad un’ipotesi simile, ma mantengo una certa fiducia nell’intelligenza dei leader del centrosinistra per non pensare che chiederebbero di andare alle elezioni, piuttosto che chiudere un ‘inciucio’ di simili proporzioni…”.

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