Il Sen. Emanuele Macaluso da molti anni partecipa attivamente all’evoluzione del dibattito politico-culturale della sinistra attraverso la rivista: “Le ragioni del socialismo”.

Sen. Macaluso, può fornirci una sua sintetica analisi sui risultati delle recenti elezioni amministrative del 25 maggio?
“I risultati delle elezioni amministrative non hanno cambiato il quadro fondamentale dei rapporti fra centrosinistra e centrodestra. Hanno solo modificato sensibilmente la situazione, ma non l’hanno stravolta. C’è stato uno scostamento in favore dei Ds: questo è il dato politico che ha consentito un certo ricompattamento, un abbassando del livello di conflittualità e un recupero di fiducia. Il dato essenziale, in fondo, è tutto qui, benché i problemi di strategia e di leadership rimangano…”.

Quali sono le cause storiche delle divisioni della sinistra italiana, secondo lei? E, soprattutto, quest’ultime sono ricomponibili?
“La Storia ci dice che in Italia, sin dai tempi della nascita del movimento operaio e socialista, c’è sempre stata una componente massimalista ed una riformista. Ci sono stati momenti di unità, fra queste due componenti, ma sempre di natura difensiva, cioè allorquando si presentava un nemico unificante. Ma quando era il momento di delineare strategie ‘di avanzata’, di prospettiva, si è sempre determinata, fatalmente, una divisione, poiché l’ala riformista mantiene delle metodologie di raggiungimento graduale degli obiettivi, mentre quella massimalista ha, per natura e per definizione, una tendenza alla accelerazione dei tempi di conquista del potere, se non addirittura attraverso visioni rivoluzionarie. Queste due componenti si sono sempre scontrate. Inoltre, in Italia c’è stata la vicenda del Pci, il quale non era un partito di per sé massimalista nella sostanza politica - Togliatti stesso combattè fortemente tali tendenze -, ma che però manteneva un rapporto con il comunismo internazionale che non consentiva uno sbocco di governo al proprio riformismo sociale, creando pertanto una divaricazione tra un’attività spesso felicemente riformista negli enti locali, nelle amministrazioni comunali e nel sindacato e una prospettiva di governo che non si realizzava a causa della collocazione internazionale”.

La sinistra, in Italia, è una sola o, come dicono alcuni, almeno tre?
“Ci sono tre sinistre: quella riformista, quella massimalista e quella comunista. Ma anche tra i socialisti, ad esempio, scissioni e divisioni sono spesso state storicamente all’ordine del giorno, come ad esempio nei frangenti di formazione dei governi di centrosinistra, quando l’ala riformista decise di allearsi con la Dc e l’ala massimalista fondò il Psiup, quello di Basso, Valori, Vecchietti e Foa. Insomma, è sempre stato questo il motivo di divisione che ha negato alla sinistra la possibilità di divenire forza di governo nel suo insieme, abdicando ogni egemonia di potere in favore della Democrazia Cristiana. Ma il problema è anche di carattere generale, storico, di lenta maturazione di una coscienza democratica fra le classi dirigenti della sinistra italiana, che sono passate tra le ‘strette porte’ di lotte sociali molto aspre, con componenti anarchiche che discendevano da una loro fortissima tradizione. Oggi, in un panorama politico e sociale del tutto mutato, queste divisioni purtroppo si riprongono. E non faccio riferimento, affermando ciò, solo a Rifondazione Comunista, ma anche a corposi settori del partito dei Ds…”.

Cosa salva, oggi, di Bettino Craxi e cosa condanna di Enrico Berlinguer?
“Preferisco parlare di pregi e difetti dei due leader. Ad esempio, di Bettino Craxi sono pronto a difendere la sua azione esecutiva da Primo Ministro, la capacità di creare, nella fase politica centrale degli anni ’80, un’ottima squadra di governo composta da personaggi di qualità, come Scalfaro agli Interni, Martinazzoli alla Giustizia, Visentini alle Finanze, tutti esponenti di spessore tra i quali fu indubbiamente capace di svolgere un ruolo di perfetto ‘direttore d’orchestra’. Quello fu un governo che incise molto nella vita politica di questo Paese. Craxi, inoltre, ebbe eccellenti intuizioni in politica estera. Fu in seguito che commise errori politici piuttosto seri, in particolare dopo l’89, quando non comprese che il mondo era entrato in una nuova fase di cambiamenti e che doveva cominciare a mettere a punto un nuovo progetto di alternativa socialista. Di Berlinguer ricordo l’intuizione di ‘spostare’ il partito in politica internazionale: lo ‘strappo’ del ‘76. Fu un’intuizione indubbiamente sincera, a mio parere, poiché chiarì che il socialismo poteva realizzarsi compiutamente solo sotto l’ombrello protettivo dei sistemi democratici occidentali. Fu allora che si aprì finalmente, per il Pci, la possibilità di un rapporto con i partiti socialisti europei. L’errore fu il non aver tirato le conclusioni di queste iniziative, accentuando fortemente il tema della diversità comunista e della questione morale, la quale poteva anche essere un aspetto di linea importante, ma non tale da divenire il fulcro politico del partito, che ha poi creato, tra l’altro, un fiume divisorio profondo con il Psi”.

Rimaniamo sulla ‘questione comunista’: il Pci si avvicinò all’area di governo nel corso della fase cosiddetta di compromesso storico; il Pds riuscì ad entrare al governo con Romano Prodi e confida, oggi più che mai, in una convergenza con il mondo cattolico, ispirata al pacifismo, per tornarci: esisterà mai una sinistra laica che possa vincere le elezioni e governare?
“Fino a quando la sinistra non riuscirà a superare le proprie divisioni tra massimalismo e riformismo, non ci sarà niente da fare e sarà necessario ricorrere al contributo del centro democratico. In Europa, determinate convergenze, anche di carattere culturale, avvengono all’interno dei partiti socialdemocratici stessi, che in sé rappresentano un riformismo moderato di centrosinistra. I partiti socialdemocratici europei hanno già al proprio interno un certo tipo di coagulazione di componenti, mentre in Italia ciò non avviene con facilità. Dalla fine degli anni sessanta, se andiamo a fare i conti, la sinistra ha sfiorato il 50% dei consensi, se si sommano i risultati che in quel tempo ottenevano il Pci, il Psi, il Psdi, i Radicali e i Repubblicani. Eppure, non c’è mai stata la possibilità di andare ad una sintesi. Una componente cattolica, che rappresenti cioè l’ala moderata e democratica dell’alleanza, è dunque quella che completa il quadro complessivo di un’unica grande forza di centrosinistra, socialista, laica e cattolico-democratica, in grado di ricevere al proprio interno il contributo di tutto l’arco delle tradizioni progressiste. Ma in Italia, realizzare un simile progetto non è affatto semplice…”.

Ma una sinistra moderna e di governo deve davvero coesistere con il giustizialismo di Flores D’Arcais, i girotondi di Moretti e il luddismo di Salvi?
“Si ritorna al problema del radicalismo di sinistra: non c’è, infatti, soltanto un massimalismo sociale - che comunque è sempre stato ‘governato’, in verità -, ma soprattutto un massimalismo giustizialista, che si manifesta in forme di settarismo nei confronti di forze politiche diverse e di culture ‘altre’. Queste componenti indubbiamente tarpano le ali a una sinistra di governo ed effettivamente rappresentano una delle questioni non risolte…”.

Non crede che una sinistra riformista - alla Blair per intenderci - che prenda le distanze da concezioni antagoniste anti-sistema, provocherebbe anche una deflagrazione all’interno del centrodestra e potrebbe, con un po’ di fortuna, far diventare l’Italia un Paese finalmente “normale”?
“Penso che una sinistra che abbia un progetto di governo riformista in grado di parlare anche ai ceti moderati del Paese, che è poi la reale questione di fondo, certamente metterebbe in crisi il centrodestra. La polemica politica, in verità, è tutta qui: la Casa delle Libertà non può essere messa in difficoltà solo sul terreno del conflitto di interessi, questione che pur mantiene una propria validità dialettica di confronto con la cultura aziendalista di Berlusconi, in quanto è pur vero che rappresenta un’anomalia. Tuttavia, non è questa la ‘chiave’ per costruire un blocco alternativo credibile di governo. Un’alternativa si costruisce solo se si è capaci di delineare un progetto che sappia coinvolgere forze politiche, sociali e civili, anche quelle che attualmente ‘sopportano’ Berlusconi solo perché non vedono una prospettiva omogenea dall’altra parte…”.

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