Mario Michele PascaleCome promesso, sia io che ‘Libertà ed Eguaglianza’ lavoriamo per la casa comune dell'area laica, liberal e radicalsocialista. Abbiamo visto molte persone, parlato con molti compagni, raccolto commenti, calorosi abbracci, distanze, perplessità e auguri. Non abbiamo trovato però, nonostante il fatto che siamo un piccolo movimento, nessuna porta chiusa, nessun dialogo negato. Anzi, proprio la voglia di parlare, di porre la questione e il calore, la passione che si sviluppa durante i nostri incontri, ci dà la forza di tessere ancora la trama. Abbiamo avviato un processo, ci siamo "messi in gioco". L'idea della casa comune, intesa come "un patto di consultazione e operatività permanente tra compagni" sarà una risultante dialettica tra le varie posizioni che concorreranno alla sua formazione; abbiamo voluto, con forza, che questo fosse anzitutto un processo di libertà e autodeterminazione, nel rispetto delle singole identità. All'interno di questo metodo, libero e democratico, mi permetto, a titolo personale, esattamente come hanno fatto altri compagni prima di me, di inserire le mie idee. Il mio auspicio è che queste vengano discusse, analizzate, contraddette se necessario, ma vengano comunque intese come un contributo alla costruzione della ‘casa comune’. Molti, al principio di ogni incontro, mi chiedono: cosa intendi per socialismo? Socialismo è, nell'immaginario collettivo di certa sinistra, quasi una brutta parola. Si associa immediatamente alla stagione della "Milano da bere", all'età di Craxi, all'alleanza con i cattolici e gli opportunisti del pentapartito. Eppure, quel ventennio è stata una parentesi, invero temporalmente piccola, nella storia del socialismo italiano. Oggi, a distanza di anni, appare chiaro che c'è una differenza tra la "Milano da bere", che comunque era cosmopolita e rappresentava un frammento d'Europa in una Italia ancora a livello familiare, e i deliri xenofobi della Lega Nord. Milano, città di artisti e intellettuali, era una cosa molto diversa da Milano 2, un insieme di palazzi per la classe media in cui tutti i canali sono sintonizzati sulle reti Mediaset. Gli anni ‘80, visti dal 2011, visti a partire da Berlusconi, dal maggioritario fallito e trasformatosi in occupazione della cosa pubblica, dalla gerontocrazia, dalla totale e trasversale crisi etica e morale della classe politica, sono e restano criticabili, ma hanno smesso di essere il demonio: ne è nato, con Silvio Berluscon, uno peggiore. La chiave di volta per riparlare di socialismo è proprio questa: guardare alla totalità dei processi storici adoperando il materialismo storico come metodo. Il principio di tutto questo è non aver paura della nostra tradizione, né dei maestri che dividiamo con altri. Giudico l'economicismo marxista una piaga. Questo, guardando l'universo dal punto di vista del capitale, alla fine ne giustifica gli atteggiamenti. Di converso, però, è impossibile fare politica - e fare una politica socialista - senza tenere nella più alta considerazione il "manifesto del Partito comunista" e, sopratutto, il concetto di "potenza sociale del capitale". Marx non va gettato via: è parte del nostro patrimonio genetico. Egli va ‘dialettizzato’ con il genio operativo di Ferdinand Lassalle, con la tradizione riformista di fine ottocento, con il coraggio di chi non si è allineato alla forza sovietica sia per i fatti di Budapest, sia per quelli di Praga. Nell'idea di comunismo, per farla breve, non c'è nulla che non vada: il comunismo è una filiazione diretta del socialismo. E' da condannarne, seccamente, la pratica politica. Il socialismo deve, anche, liberarsi dalle dominanti culturali di fine secolo. La peggiore tra queste è la dialettica ‘servo-padrone’, non nella lettura originale di Hegel, ma in quella derivante dalle famose lezioni di Rodano. La dialettica ‘servo-padrone’, opportunamente modificata, è stata prima la colonna sonora del compromesso storico, poi il cemento materiale dell'inciucio tra cattolici e comunisti, inciucio che prosegue oggi sia nel Partito democratico, sia nella sua velleità di porsi al centro (esattamente come la vecchia Dc) del panorama politico. Da un punto di vista psicologico gioca, nella passività di tanti, un ruolo fondamentale il mito aureo del ‘pentapartito’, da un punto di vista culturale è indubbia l'incapacità, da parte della nostra area, di sviluppare una propria, autonoma linea concettuale. Il socialismo, inoltre, deve differenziarsi dal cristianesimo. Io ritengo che la parola (e il concetto) "socialismo" sia molto più affine all'illuminismo e immediatamente imparentato con il concetto di laicità. A livello ideale non dovremmo guardare alla costruzione del mito di Gesù di Nazareth operata da Paolo di Tarso, ma a Spartaco, vero liberatore di schiavi. Nella pratica, il socialismo risolve problemi nel breve, medio e lungo periodo, non deve cedere "all'estetica della piaga". Questo però non vuol dire demonizzare l'universo cristiano. Esistono, infatti, nell'universo cristiano, significative aree di laicità alle quali bisogna guardare. Penso anzitutto a Romero che, anche se prete tradizionalista, laicamente scelse il popolo. Quasi alla fine della sua vita Romero ebbe a dichiarare: "Potranno anche uccidermi, ma io risorgerò nel popolo salvadoregno". Non in un ipotetico paradiso, né in un'altra vita: l'unità era tra lui e gli uomini e le donne del Salvador. Lui anzitutto serviva la giustizia sociale, molto, molto prima, della divinità. L'unità tra Romero e i salvadoregni era una unità totalmente laica. Il socialismo deve ricollocarsi. Non pensando in termini destra-sinistra (a mio avviso la sinistra muore o viene condannata alla semplice testimonianza quando Pierluigi Bersani non fa differenze tra ciò che è alla sua destra e quel che c’è alla sua sinistra), ma pensando uno spazio politico totalmente nuovo nel quale radicarsi, che è uno spazio di lotta per i diritti, per la qualità della vita delle persone, per il lavoro e il futuro dei nostri giovani. Uno spazio in cui le parole libertà, eguaglianza e giustizia sociale non siano solo ‘lapidi’ di un glorioso passato, ma diventino la nostra ‘bussola’. Quello di cui il socialismo ha bisogno è una buona dose di coraggio: dare anzitutto spazio a una nuova classe dirigente, conservando, ovviamente, le basi di esperienza dei "vecchi", liberandosi dall'immagine della pratica politica finalizzata esclusivamente alle elezioni per tornare, come compito prioritario, a ricucire il tessuto dell'appartenenza, tornare a essere una "comunità". Dixi et salvavi animam meam, almeno per il momento…


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