Giovanni Floris, giornalista televisivo, è il conduttore della popolare trasmissione televisiva: "Ballarò".

Giovanni Floris, democrazia e Islam sono due concetti compatibili, secondo lei?
“Per tanto tempo si è detto che il cattolicesimo non era compatibile con la democrazia, ma poi la convivenza è stata resa possibile, in Italia e in Europa, grazie al concetto di separazione tra Chiesa e Stato, al filone culturale cattolico-liberale e ai movimenti politici di ispirazione cristiano-democratica. Successivamente, anche la matrice cattolico-socialista è stata inserita nella tessitura di questo complesso rapporto di compatibilità. In linea generale, insomma, c’è sempre la possibilità di smentire ciò che si dice, anche tra concezioni apparentemente poco conciliabili…”.

Se nella cultura occidentale è stato storicamente possibile innestare, su un ‘tronco’ reglioso cristiano, una concezione laica e democratica dello Stato, è anche realizzabile un avvio di determinati processi di laicizzazione nei Paesi a cultura religiosa musulmana?
“In linea di principio dovrebbe essere possibile, anche se probabilmente con maggiori difficoltà per l’universo islamico rispetto a quelle storicamente determinatesi con il cristianesimo. Nel mondo islamico, infatti, determinati processi di secolarizzazione e di laicizzazione quasi sempre sono stati di natura autoritaria. Forse dovremmo cominciare a chiederci se è possibile uno sviluppo che preveda la nascita di movimenti politici di ispirazione islamico-democratica, come verificatosi in Turchia nel corso delle sue recenti elezioni politiche. Personalmente, ritengo culturalmente più incisivo puntare su un ‘mix’ di questo tipo, anziché su innesti di democrazia forzati”.

Perché alla fine del processo di decolonizzazione avvenuto in Africa e Asia nel corso degli anni ’60, molti Paesi musulmani credettero di vedere più naturale, rispetto alla cultura liberaldemocratica, quella sintesi tra socialismo ed Islam che Reneé Dumont definì ‘socialismo arabo’?
“Forse proprio per una risposta automatica: era abbastanza naturale che dei Paesi appena decolonizzati rifiutassero i modelli politici e organizzativi delle nazioni che li avevano colonizzati. Ed era anche normale che, nel clima della guerra fredda, molti di questi nuovi Paesi cercassero e ottenessero ‘rifugio’ proprio dall’Unione Sovietica, che comunque poteva apparire, in termini storico-congiunturali, un modello politico differente, diverso. Quel processo, infatti, si distaccò da considerazioni di carattere strutturale, poiché queste nuove nazioni che nascevano potevano comunque risultare utili, con le loro risorse, alla causa dell’Unione Sovietica. Dunque, può tranquillamente non stupire il fatto che i nuovi Paesi afro-asiatici si sentissero più vicini a modelli ispirativi richiamabili al socialismo. D’altra parte, si ebbero anche Paesi che cercarono di seguire una via di ‘non allineamento’ come quella indicata da Nasser, che tentò di fornire un messaggio al contempo nazionale e socialista. Inoltre, mi pare di ricordare che anche le prime leadership palestinesi fossero, in qualche modo, forme di governo di natura e ispirazione prevalentemente laica”.

Cosa pensa delle accuse di neocolonialismo economico piovute addosso ai sistemi democratici occidentali, e su quello americano in particolare, a causa della teoria della ‘guerra preventiva’?
“Penso che la ‘guerra preventiva’ sia un concetto che investe la sfera politica, più che quella economica e non credo sia adeguato parlare di neocolonialismo. Accuse di questo genere colpiscono ma non convincono. Addirittura, c’è chi ha ritenuto opportuno riesumare il termine ‘imperialismo’, senza tenere presente che il problema vero è rappresentato dalla fine del mondo multipolare, che sta creando fenomeni ai quali non siamo ancora in grado di dare una lettura specifica…”.

Se la democrazia, intesa anche come modello concettuale, troverà terreno fertile nel mondo islamico, elementi della cultura mediorientale avranno più fortuna qui da noi?
“Sarebbe auspicabile. Una contaminazione di culture diverse è sempre, a mio parere, l’esperienza migliore che umanamente si può vivere in una società sempre più aperta…”.

Che cos’è la democrazia nel Terzo Millennio? E, soprattutto, può avere un valore universale come la religione?
“Le democrazia nel Terzo Millennio è il controllo popolare delle decisioni politiche congiunto alla tutela delle minoranze. L’esercizio di tale controllo può attuarsi in maniere differenti. Tuttavia, occorre tener ben presente che non esistono scorciatoie per accelerare il cammino di quei Paesi che sono rimasti indietro, le quali possono, tra l’altro, rivelarsi pericolose. Di certo, la democrazia è un valore senza dubbio universale e, da un punto di vista laico, può essere più universale di qualsiasi religione. In ogni caso, essa non può venir dettata o imposta, bensì dev’essere proposta se vuole diventare un valore che convince, per la propria bontà e per la sua convenienza: non deve essere imposta poiché altrimenti rischia di perdere i propri valori più intrinseci e caratterizzanti”.

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