Giancarlo PagliariniGiovedì 7 ottobre il Consiglio dei ministri ha dato il via libera “preliminare” alla bozza di un decreto legislativo che: 1) modificherà i rapporti finanziari tra lo Stato centrale e le Regioni e le Province; 2) disciplinerà i costi e i fabbisogni standard della sanità; 3) farà nascere e funzionare nel bilancio dello Stato centrale un fondo perequativo che sostituirà gli attuali trasferimenti alle Regioni e agli enti locali. Dopo questa approvazione preliminare sul testo dovranno essere espressi i pareri: 1) della Conferenza unificata; 2) della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale; 3) della Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario. A questo punto ci potrà essere la deliberazione finale del Consiglio dei ministri. Ecco qualche considerazione sulla bozza approvata pochi giorni fa. Come ci ha insegnato Gianfranco Miglio, l’essenza del federalismo non sta tanto nel numero di funzioni o delle risorse decentrate, quanto nella capacità delle unità territoriali, che devono essere sovrane a tutti gli effetti sul proprio territorio (con competenze irrevocabili) di resistere alla naturale tendenza espansiva del potere centrale. Di un serio trasferimento di sovranità non c’è neanche l’ombra, né nella legge delega del 5 maggio 2009 n. 42, né in questo decreto delegato. Dunque, stiamo parlando solamente di modifiche nei rapporti finanziari tra centro e periferia, non di federalismo. Il federalismo è tutta un’altra cosa, ed è veramente una sofferenza vedere sui giornali titoli sul “Federalismo”, o leggere addirittura del “nuovo Stato federale”. Il federalismo è una cosa seria e il Paese ha veramente bisogno di una vera riforma federale, ma per il momento si sta facendo tutta un’altra cosa. In questi giorni le discussioni e le critiche si sono concentrate soprattutto sulla mancanza di numeri e sulla possibilità che questo decreto farà aumentare la pressione fiscale. In effetti i numeri mancano. Provo a rimediare: nel 2008 tutte le tasse pagate in Italia sono state 457 miliardi di euro. 354 miliardi (il 77%) sono stati incassati dallo Stato centrale e 103 miliardi (il 23%) dalle Regioni e dagli enti locali. Poi lo Stato centrale ne ha trasferiti 105 alle Regioni e agli enti locali. La legge delega prevede che dal bilancio dello Stato “saranno eliminate le previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a Regioni ed enti locali, con esclusione dei fondi perequativi”. A quanto ammonteranno i fondi perequativi? Saranno 10 miliardi? O 50? O 90? Senza stime, sia pure arbitrarie di larghissima massima, il parlamento non avrebbe dovuto approvare la legge delega. L’opposizione e qualche analista hanno detto che con questo decreto aumenteranno le tasse (titolo del Sole 24 Ore di lunedì 11 ottobre: “Sulle addizionali IRPEF l’aumento può arrivare al 300 per cento). Il ministro Calderoli ha risposto con un comunicato stampa molto deciso: “Nessuno ha ancora visto il testo definitivo del decretone di ieri eppure si è scatenata una gara a chi la spara più grossa sul contenuto. Quanti pagliacci che ci sono in circolazione! Qualcuno è arrivato addirittura a sostenere che con questa riforma potrà esserci un aumento delle tasse, quando invece è l’esatto contrario, visto che questa è l’unica legge che contiene un meccanismo di salvaguardia nei confronti dei cittadini che prevede che le tasse non possano aumentare ma soltanto diminuire …”. È vero: sia la legge delega che questo decreto terminano con la solita e opportuna disposizione finanziaria: “Dal presente decreto non devono derivare minori entrate né nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” . Ma il punto più importante di questa legge è la sostituzione degli assurdi e arbitrari “costi storici” con i “costi standard”. I costi standard nella sanità sono importantissimi perché obbligheranno (si spera) le amministrazioni regionali meno oculate ad essere più efficienti. Ma il problema è che, come ha scritto Massimo Bordignon sul Sole 24 Ore di sabato 9 ottobre, “il decreto è scritto tanto male, per imperizia o per improvvisazione, che chi si è messo a fare i conti ha scoperto che i costi standard come definiti dal decreto sono in realtà del tutto ininfluenti nel determinare la distribuzione delle risorse tra le regioni”. I calcoli sono di Vittorio Mapelli e li trovate su www.lavoce.info (lo studio è intitolato “Se il costo standard diventa inutile”). Se non si riuscirà a far funzionare i costi standard, il pericolo di un aumento della pressione fiscale diventa concreto. Nel decreto ci sono anche ben sette articoli dedicati alla “Autonomia di entrata delle Province”. A mio giudizio Province e Città metropolitane dovrebbero essere tolte dalla Costituzione ed ogni Regione dovrebbe essere libera di organizzarsi come meglio crede. Se in Lombardia c’è un assoluto bisogno di un ente intermedio tra i tantissimi Comuni e la Regione, nessun problema: la Lombardia si organizzi con tutte le Province che vuole e le faccia funzionare con le regole che al Pirellone (e non a Roma) saranno ritenute le più opportune. In questo caso la Lombardia dovrà anche finanziare le sue Province e quindi dovrà far pagare ai soggetti residenti la “tassa per le nostre Province”. Altre Regioni faranno come la Lombardia e anche loro si pagheranno le loro Province mentre altre Regioni si organizzeranno in modi diversi. Quale è il problema? Questo si che è federalismo. Questa è la concorrenza, e la concorrenza genera sempre efficienza. Per finire un ricordo personale a proposito di costi standard: quando ho fatto una breve esperienza da ministro, avevo proposto che i bilanci preventivi di tutti i livelli di governo avrebbero dovuto essere predisposti sulla base dello “zero base budget”, dimenticando quindi i costi e le quantità storiche. Mi avevano riferito di grasse risate nei corridoi dei ministeri romani sulle bizzarre idee di quel piccolo milanese che parlava di quella cosa strana … di quella “robba”… si, dello “zetabibbi”. Quindici anni dopo c’è finalmente una legge che parla di costi standard. Ma non basta parlarne: bisogna anche farli funzionare davvero.





Presidente dell'Associazione Pagliarini per la riforma federale
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